di Tiziana Bagatella
Dal primo al 4 dicembre l’Off Off Theater di Roma ha ospitato lo spettacolo “Razza Sacra – l’ultimo processo a Pier Paolo Pasolini”, scritto da una coppia molto affiatata: Riccardo Pechini e Mariano Lamberti, che ne ha curato anche la regia. Lo spettacolo, che chiude idealmente le celebrazioni nel centenario della nascita del grande poeta di Casarsa, ha un’ambizione molto particolare: raccontare Pasolini dal punto di vista delle donne, alcune delle celebri artiste che ne hanno accompagnato la parabola non solo lavorativa ma anche affettiva, in quanto legate a lui da profonda amicizia, sconfinante in alcuni casi nell’adorazione.
Stiamo parlando dell’attrice Laura Betti; di Maria Callas, il suo grande amore platonico; di Oriana Fallaci, un’amicizia costellata da grandi passioni e grandi battaglie; di Silvana Mangano, sua musa ispiratrice e quasi venerata dallo stesso Pasolini perché – parole sue – gli ricordava sua madre; e infine ultima, ma non ultima nel suo cuore, la madre friulana, Susanna Colussi. Saranno proprio loro, le donne che lo hanno accompagnato per tutta la vita a offrirgli una nuova chiave con cui affrontare un destino dal finale inaspettato.
Ma partiamo dall’inizio, il regista per l’allestimento ha fatto sapiente uso di pochi elementi scenici – dei semplici cubi semoventi che creano di quadro in quadro diverse suggestioni spaziali, che ben si adattano alla ricerca metafisica per un testo onirico e simbolico – di potenti musiche originali (create dal giovane compositore Andrea Albanese), e di immagini multimediali proiettate sullo sfondo. L’azione scenica inizia quindi proprio con una suggestione audio-video molto forte (va ricordato che Lamberti nasce come regista cinematografico) e mentre Pier Paolo (il bravissimo Marco Vergani) è adagiato a terra, immobile come un cadavere, alle sue spalle vengono proiettate le immagini di un antro, che ricorda il sito preistorico di Chauvet, la famosa grotta così preziosa per le sue pitture e incisioni rupestri risalenti al paleolitico superiore, situata a 500 metri di profondità nel cuore della terra, probabile luogo di culto dei nostri antenati (già Homo sapiens, come vogliono le nuove datazioni del 2017), dove si svolgevano riti iniziatici o propiziatori per la sopravvivenza della specie.
E, infatti, si ha come la sensazione nel corso della pièce di assistere a un rito di passaggio, come se Pier Paolo Pasolini si trovasse in uno stato liminare, forse il passaggio dalla vita alla morte, o forse perché chiamato da una propria urgenza interiore a intraprendere un viaggio all’interno della propria psiche per emanciparsi, finalmente, dai propri fantasmi e sensi di colpa che lo hanno accompagnato per tutta l’esistenza. La conferma che stiamo entrando in uno spazio onirico va di pari passo con l’ingresso di Laura Betti (la camaleontica e emozionante Marina Remi) in scena. Incappucciata, come una sacerdotessa-maga, ma inconfondibile nella sua bellezza contadina, il suo accento romagnolo e quel fare da mamma-sorella (anche se per lei Pasolini era il suo sposo) che lentamente e amorevolmente cerca di risvegliarlo e di ricondurlo in uno stato di coscienza che gli permetta di affrontare il viaggio nella memoria, in un percorso di auto-guarigione. Quindi, freudianamente, capiamo che tutte le apparizioni successive avranno questo compito. Gli autori sono abili nel non rivelare l’origine del trauma, noi però immaginiamo si tratti di quella terribile notte tra il 1° e il 2 novembre 1975 allo scalo di Ostia, dove Pier Paolo Pasolini ha perso la vita come un martire contemporaneo. Pierpaolo dunque è in uno stato di incoscienza, e però ha il desiderio “vitale” di illuminare le sue rimozioni. Dunque, la Betti levatrice, finito il suo compito di riportarlo simbolicamente alla vita, lo consegna nelle mani della successiva maga: la grande ed eterna Maria Callas, ancora oggi mito ineguagliato per il mondo della lirica. A lei è assegnato il compito di far riemergere in Pasolini il primo ricordo: lui e Maria sulla spiaggia di Grado. Callas, ormai nella sua parabola discendente, distrutta dall’abbandono di Onassis, si aggrappa disperatamente all’amore impossibile per quell’uomo geniale, dolcissimo e imprendibile. Un dialogo molto intimo tra i due che si trasforma piano piano in una lite. E Maria in una Medea archetipica e selvaggia, prima di ritornare in una sorta di primordiale grembo acquatico, rivela a Pasolini che proprio lui, che nei suoi versi professava un amore disperato e feroce per la vita, non è in realtà capace di amare perché (ancora) non libero di farlo.
La seconda apparizione (o ricordo) è affidato a Oriana Fallaci. La scena si sposta a New York in un albergo dove realmente Pasolini e Fallaci andarono in vacanza. La giornalista accusa Pasolini di non amare più la vita, di cercare la morte “come un invasato, come un fanatico”. In questo secondo girone dell’inferno dantesco viene anche rievocata la grande amicizia che univa Pasolini a Elsa Morante, e che finì poco prima che il poeta morisse, per una stroncatura che lui le fece sul celebre romanzo La Storia. Un legame capace di oscillare tra ammirazione, affetto profondo e ricatto emotivo, e che ricorda un altro rapporto, ancor più viscerale che legava il poeta ad un’altra donna, la più importante della sua vita.
Sarà proprio la quarta figura chiave della vita di Pierpaolo, Silvana Mangano, sul set de “Le streghe” (di cui Pasolini diresse un episodio) ad aprire gli occhi del Poeta, confessandogli di non essere lei per prima la madre amorevole che lui si aspetta, bensì una donna crudele, depressa e incapace di dimostrare affetto verso i propri stessi figli. Perché non tutte le madri sono delle Madonne, delle Sante, ma possono rivelarsi anche spietate carceriere (come accade in una delle scene più suggestive dello spettacolo, in cui dall’alto dello scranno di un giudice, la madre di Pierpaolo cerca nuovamente di avviluppare il figlio in una sorta di placenta).
Compito della Mangano, sarà proprio quello di spingere il poeta ad andare incontro al proprio destino, che non si compirà quella tragica notte all’ Idroscalo di Ostia, ma in un ipotetico confronto finale, travagliato, atteso eppur evitato per tutta la vita. Quello con Susanna, sua madre.
Ed infatti, come ad echeggiare le parole della Mangano, la donna che Pierpaolo si troverà ad affrontare non sarà una versione idealizzata di quella purezza ormai persa dal mondo che ha sempre permeato la visione del “Poeta del femminile”, ma una madre animale, bestemmiatrice, sconcia, che sembra rievocare i versi di Bestia da Stile. Qui avverrà il processo a cui allude il titolo dello spettacolo, un confronto senza distinzione tra giudice e accusato, tra innocenza e colpevolezza, a smascherare un gioco perverso di potere e possessioni. “E’ dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia”, sono le ultime parole che il figlio dedica alla madre, prima di compiere un inaspettato atto catartico, in grado di liberarlo da quell’utero carcerario che lo incatenava alla solitudine e a quell’insaziabile fame d’amore destinata a non essere mai appagata.
Una messa in scena originale ed evocativa, quella di Lamberti, ma soprattutto coraggiosa nell’evitare la tentazione dell’agiografia proprio nell’anno delle celebrazioni del Poeta. Molti gli applausi tributati ai due protagonisti, Marco Vergani, che, pur non aderendo mimeticamente al poeta di Casarsa – ha tra l’altro una voce potente e “maschia” – riesce a rievocarlo per energia e intensità, e per Marina Remi, attrice in grado di interpretare con grazia e maestria ben cinque diversi personaggi, cogliendone le sfumature, attraverso caratterizzazioni eleganti e simboliche.
Gli applausi (i miei, ma sono certa anche quelli degli spettatori) vanno a tutta la troupe che ha partecipato alla realizzazione di questo evento, a cominciare dal duo, Riccardo Pechini e Mariano Lamberti; Valeria Ricca, per i costumi così precisi nel definire i caratteri delle “dive”; il già citato compositore delle musiche, Andrea Albanese; e poi ancora, Giuliano Pannuti, per le belle scenografie; Antonio Grambone, grande light designer; e da ultimo (ma non ultimo nel nostro cuore), il bravissimo coreografo Marco Angelilli, per i movimenti scenici.
Per gli amici milanesi e non, una info sulle prossime repliche del bellissimo spettacolo: Milano- Teatro Pact dal 4 al 6 aprile 2023.