L’interesse degli imprenditori intorno al vulcano Vuroa ricorda L’Aquila 2009

Ancora stasera si replica alla sala Pirandello del Tordinona il racconto dell’eruzione del vulcano Vuroa. Una storia che sembra vera ma che invece è soltanto basata sulle conseguenze che molte catastrofi hanno provocato. Potremmo dire, infatti, che la vicenda, ambientata in una ipotetica Parmos (isola dell’arcipelago giapponese), ricorda molto quel che accadde a L’Aquila nella primavera del 2009. Nella storia scritta da Antonio Amoruso si riesce a prevedere di qualche settimana la terrificante eruzione del Vuroa, e immediatamente i delatori si scontrano con la cecità dei politici che sposa l’interesse degli imprenditori: mentre i primi si perdono in discorsi persuasivi gonfiati da inutile sicumera, gli altri si preparano, come avvoltoi in agguato, già immaginando i lauti guadagni per la possibile ricostruzione. Nessuno pensa alla salvezza dei cittadini, come spesso accade; nemmeno la protezione civile.

Ad Azumi, vedova del vulcanologo Jan Pavlik, arriva la registrazione di una intercettazione tra due imprenditori che richiama alla memoria quella tra il napoletano Francesco De Vito Piscicelli e suo cognato Gagliardi, dalla quale si evinse quello che in tribunale fu definito «cinismo di chi, a pochi giorni dal terremoto dell’Aquila, pensa solo a come poter speculare sugli appalti».

I tre protagonisti – oltre ad Azumi c’è anche una celebre giornalista di una importante emittente televisiva e una giovane guida dell’isola – si ritrovano per promuovere il progetto di Pavlik: prevedere è meglio che curare, cioè costruire una nuova Parmos lontano dal pericolo, e soprattutto prima di dover affrontare l’emergenza. Un’idea ambiziosa quella di voler evacuare una città di 4 milioni di abitanti. La domanda che la cronista pone sembrerebbe la più giusta: capiranno i politici la necessità di agire ora? «Why not now?» Ma le aspettative, però, vengono tradite dall’intera cittadinanza: senza obblighi, e con la tragedia che ancora non s’avverte, nessuno vuol abbandonare la propria casa, nessuno vuol modificare la propria vita, nessuno vuol lasciare la propria terra. La notizia dell’imminente esplosione fa però scattare l’allarme e qualcosa accade, per fortuna a tempo.

Malgrado il soggetto sfiori le tinte forti della tensione drammatica, il lavoro di Amoruso resta teatralmente privo di vitalità. Un lungo racconto a più voci, un po’ scolastico, in cui gli attori faticano a dare un’anima ai personaggi che sembrano tutti l’uno lo specchio dell’altro. Anche la recitazione è monotona e ferma. Le due donne, sempre troppo statiche, sembrano affrontarsi in un salotto televisivo piuttosto che in un appartamento, e con toni sempre molto distaccati dall’essenza drammatica delle parole che pronunciano. Infine, per la regia, Luca Milesi si è lasciato influenzare troppo dallo stile giapponese, tipicamente anodino, nonostante le note musicali dei Pink Floyd.

Vuroa di Antonio Amoruso; con Maria Concetta Liotta, Francesca Frascà, Lucia Bianchi, Antonio Digirolamo. Regia di Luca Milesi. Al teatro Tordinona, fino al 18 dicembre.