Il Prodigio: il volto crudele della verità

Tratto dall’omonimo romanzo di Emma Donoghue, Il Prodigio è l’ultima opera di Sebastian Lelio che ne cura la sceneggiatura insieme ad Alice Birch e la Donoghue stessa. Presentato in anteprima il 2 settembre al Telluride Film Festival, al Festival Internazionale del cinema di San Sebastiàn e al Toronto International Film Festival, viene reso disponibile da Netflix dal 16 novembre 2022.

Irlanda, 1862. L’infermiera Elizabeth Wright (Florence Pugh) viene chiamata a presenziare dinanzi una commissione come testimone prescelta a seguire un caso insolito. Un piccolo paesino irlandese viene sconvolto dalla scoperta di Anna O’Donnell (Kila Lord Cassidy), una bambina che da quattro mesi sopravvive senza cibarsi di nulla, ad eccezione della “manna dal cielo”. La straordinarietà dell’evento, dai tratti miracolosi, richiama l’attenzione di visitatori esterni che animano il piccolo paese e inorgogliscono chi in esso detiene il potere. Per questo il compito di Elizabeth diventa sempre più arduo: vincere le ferme convinzioni della commissione, svelare le bugie della famiglia O’Donnell e scoprire la verità.

La ricerca di questa fantomatica verità, centrale nei discorsi del film, è il filo rosso che unisce i vari strati della narrazione. Ad un primo livello c’è l’”osservazione”, come viene definita la pratica di sorveglianza continuativa che Elizabeth opera su Anna. Il tempo passa lentamente, tutto è grigio, povero, morto, eppure la bambina è vitale e si nutre della fede che la sua famiglia le impartisce sin dalla tenera età. La fede, come colosso incrollabile, non vacilla. Al contrario di ciò che accade a Elizabeth.

Quello che sembra un superficiale e scontato confronto tra fede e scienza diventa un momento di riflessione e d’introspezione psicologica dei personaggi che rende il film qualcosa di unico. Ecco il secondo livello narrativo: Elizabeth si sente persa, abbandonata a sé stessa e ai ricordi che Anna le rievoca. Ricorda sua figlia, morta prematuramente, e il marito che l’ha abbandonata; ricorda la Guerra in Crimea, nella quale non poteva far altro che assistere i malati in punto di morte. La morte è la sua compagna fedele, una presenza costante che non può combattere o evitare. Ma è una sventura che non la tocca, piuttosto la costringe a guardare inerme.

Nasce così un rapporto profondo e contraccambiato: Anna e Elizabeth si specchiano l’una nell’altra e entrambe trovano nel loro legame una via d’uscita. L’affetto tra di loro diventa un antidoto alla morte, perché finalmente Elizabeth è in grado di conoscere la verità. E qui risiede la svolta del film, il terzo livello narrativo: ora che la verità è svelata, chi è davvero pronto ad ascoltarla? Chi rinuncerebbe mai al caldo abbraccio che ci offre la fede cieca?

La verità tangibile e la fede immateriale tornano nuovamente a scontrarsi, come a chiudere un cerchio. Ma si tratta davvero solo di dire la verità? Confessare il vero motivo del digiuno di Anna significa salvarla ma anche costringerla ad affrontare e combattere il suo segreto. La verità tanto agognata è dispensatrice di morte e magra consolazione per la scienza che Elizabeth rappresenta. Il conflitto interiore che vive Elizabeth è il cuore pulsante del film, una svolta inaspettata che colpisce lo spettatore ignaro di ciò in cui si sta imbattendo.

Dalla fede all’etica, Il Prodigio non ha paura di toccare certi temi e lo fa con rabbia sferzante alternata a momenti di pura compassione. L’abilità di Lelio è quella di condensare momenti di altissima tensione ad altri più rilassati ma egualmente evocativi. L’ambientazione brulla e misteriosa, dai campi sconfinati alle camere più buie e strette crea un senso di claustrofobia come quello provato dalle due protagoniste. Due donne e la loro verità. Non è un caso che in apertura e chiusura di film ci si presenti una narratrice esterna che si inserisce nel racconto, mostrandoci un ultimo e fondamentale piano narrativo: quello esterno, più vero di tutti.

Ci viene detto chiaramente che stiamo assistendo ad una storia e che non siamo nulla senza storie. Ma soprattutto che le protagoniste sono fermamente convinte della loro personale verità. In un racconto fatto di osservazione, programmazione, studio, razionalità, scienza, nulla regge davanti ad una domanda: non è forse ciò in cui crediamo la (nostra) verità?