Quando il leggendario Fred Astaire, il famoso ballerino coreografo con Gene Kelly nella Hollywood degli anni quaranta e cinquanta orfani di Ginger Rogers, la vide ballare e cantare, lei che a dodici anni col nome di Rita Cansino spopolava nei teatrini off ballando con il padre il flamenco, rimase incantato e la scritturò subito per il film Non sei mai stata cosi bella. E bella Rita Hayworth lo era davvero.
Corpo da favola su cui pioveva una cascata di capelli rossi, sguardo da peccatrice, occhi grandi verdi e malandrini, quando la vidi per la prima volta sullo schermo nel film Gilda al fianco di Glenn Ford ero un adolescente e potevo intrufolarmi in sala malgrado il divieto del film ai minori, solo perché ero il figlio di un dirigente della Warner Bros. Posso dire di aver visto Gilda decine e decine di volte. Rita la rossa è stato il primo amore della mia vita.
Un giorno di qualche anno fa il TG della Rai per cui lavoravo come inviato di cinema e spettacolo, mi inviò in Svizzera per intervistare Emanuele Filiberto di Savoia che debuttava come cantautore con un disco dal titolo Aristorock, un disco che aveva realizzato in collaborazione con il musicista leader dei The Bastards, Alessandro Sursook che mi ospitò nella sua bella villa alle porte di Ginevra. Il giorno dopo l’intervista ricorreva la festività della Pasqua ortodossa e il mio anfitrione mi invitò a restare per il rituale pranzo a casa della madre. Ci arrivai su una fiammante Rolls Royce di una sua cugina arrivata da Hong Kong. La residenza a pochi chilometri da Ginevra era in realtà quella della più potente aristocrazia legata alla figura dell’Aga Khan. La mamma di Alessandro Sursook era la splendida principessa padrona di casa e salendo la scalinata con gli altri componenti della famiglia che si riuniva per la circostanza, vidi ben in vista, accanto a quelle Capi di Stato di mezzo mondo, la foto di Rita Hayworth e del marito il principe Aly Khan.
Fu in quella casa museo, splendidamente arredata, sede diplomatica dei potenti del mondo, seduta avvolta da un abito di chiffon azzurro tenue su cui si stendeva la sua capigliatura rosso Tiziano, che sognai e immaginai di incontrare per la mia intervista impossibile Rita Haywhorth, la protagonista di Gilda e di tanti film di successo. La donna che il cinema aveva trasformato dalla ballerina di flamenco Rita Cansino all’attrice Rita Hayworth, la donna che aveva avuto ben cinque mariti e fatto impazzire d’amore e desiderio uomini di tutti i continenti: star del cinema, produttori, registi. Su tutti Orson Wells da cui ebbe dopo averlo sposato la figlia Rebecca e naturalmente il principe Aly Khan padre della figlia Jasmine.
Mi accolse con un sorriso ed una coppa di champagne, distesa su un divano di raso dorato. Beveva curiosamente con dei piccolissimi cubetti di ghiaccio azzurri. Le chiedo se devo chiamarla Principessa. Mi sorrise dicendomi:
Credo che la storia di Rita Hayworth e il Principe Aly Khan abbia in effetti superato tutte le sceneggiature di Hollywood. Ricordo che i giornali dell’epoca scrissero che dei miei cinque matrimoni a cui lei accennava, quello con il figlio dell’Aga Khan è stato così surreale da battere la trama di qualsiasi film. Lasci perdere la Principessa, sono e resto indelebilmente e cinematograficamente Rita Hayworth.
Allora signora Hayworth, mi racconti senza segreti come ha conosciuto il Principe.
Ci siamo conosciuti a Cannes dove mi ero rifugiata dai pettegolezzi di Hollywood dopo il successo planetario di Gilda; una fuga per coprire uno stato di gravidanza a seguito di “un incontro intimo” con Glen Ford il coprotagonista di quel film. Un uomo fantastico, un grande attore con il quale ho girato tre film.
Lei signora Hayworth ha alloggiato all’hotel Rock di Cap D’Antibe. É vero che l’incontro fu organizzato dalla sua amica la famosa giornalista regina del gossip Elsa Maxell?
Si accese una sigaretta blu come i cubetti di ghiaccio dello champagne.
Si, fu Elsa che me lo presentò a una festa a Cannes, nell’elegante ed esclusivo Palm Beach Casino. Aly Khan per la cronaca era il figlio primogenito del Sultano Aga Khan terzo, il capo dei musulmani sciiti Ismaili Nizari. Aveva il titolo di principe, aveva fama di playboy, grande amico di Gianni Agnelli, e aveva sposato nel 1936 Joan Barbara Guinness, miliardaria figlia del barone Churston pronipote di Winston Churchill.
Quando Rita Hayworth e Aly Khan si incontrarono era il 1948. Lui, ricchissimo, sempre a caccia di nuove avventure, Rita, reduce da due divorzi l’ultimo con Orson Welles. A Cannes appena arrivata, si faceva corteggiare da Aristotele Onassis e anche dallo Scià di Persia Reza Pahlavi. Tutti innamorati di Gilda.
Lei signora Hayworth ci giocava su questa forma di ossessione?
Si, avevo coniato una frase: “Gli uomini vanno a letto con gilda e si svegliano con me.”
Sta di fatto che di quell’incontro a Cannes signora Hayworth, ne parlarono tutti i giornali del mondo. Così lo descrisse la scrittrice Anne Edwards. “La stanza era scintillante, le porte spalancate, Rita arrivò scendendo una scala a chiocciola. Tutti gli invitati alla cena, già seduti a tavola si voltarono a guardarla; il corpo abbronzato fasciato da uno splendido vestito, i suoi capelli rossi erano sciolti intorno alle spalle nude, al collo scintillava una collana di smeraldi e diamanti. Era davvero spettacolare.
Si, quella collana è stata sempre il mio porta fortuna. Mi hanno raccontato che Aly quando mi vide scendere quelle scale gli caddero le posate dalle mani esclamando “Oh mio Dio”! Non so se sia vero, lui si alzò dal tavolo mi corse incontro, mi porse il braccio e mi condusse al tavolo. Mi ricordo che Elsa si avvicinò e gli mormorò: “Ecco la compagna che ti avevo promesso”. Parlammo tutta la sera e ballammo fino alle tre del mattino, poi a bordo della sua Bugatti decapottabile mi portò a vedere il panorama e il mare illuminato da una cornice di stelle verso Montecarlo. Mi ricordo che il giorno dopo annullò il volo privato per assistere in Irlanda al debutto del suo cavallo da corsa Shergar.
La famosa richiesta di matrimonio?
Decidemmo di sposarci a Cannes in municipio dopo il divorzio di Aly da Barbara Guinness. Era il 27 maggio del 1949, naturalmente si scatenò una pletora di avvocati per il rituale accordo prematrimoniale. Io non avanzai nessuna pretesa legale in caso di divorzio ed ero già in attesa di Jasmine, Aly commosso mi regalò una collana di diamanti del valore era di 200.000 dollari. Quel matrimonio fu un vero delirio mediatico. Ci furono oltre cinquecento invitati. Dei miei ex mariti
venne solo Orson Welles insieme a nostra figlia Rebecca. Vennero serviti oltre cento chili di caviale, mille bottiglie di champagne, nella piscina furono versati cinquanta litri di colonia e mi ricordo che tagliammo una gigantesca torta con un’antica spada di vetro, mentre l’amico Yves Montand, ci cantava le sue canzoni più belle, mentre i devoti sciiti dell’Aga Khan in abito tradizionale indiano sfilarono per baciarmi i piedi e lasciare doni. Si, quello indubbiamente è stato il mio matrimonio più cinematografico.
Non le mancava Hollywood?
Vede, Harry Cohn il produttore che mi aveva scoperta sin da quando giovanissima interpretai i primi film, mi aveva procurato un buon contratto con la Columbia, che cambiò il mio nome in Rita Hayworth. Fu lui che mi lanciò con gli attori più in voga dell’epoca: da James Cagney, con la commedia “Bionda fragola” a Tyrone Power nel dramma d’amore “Sangue e arena” e poi i due film musicali: uno con Fred Astaire e l’altro con Gene Kelly, fino all’enorme successo di Gilda firmato da Charles Vidor. Come ha sempre detto la mia amica Elsa Maxell, Aly era follemente geloso. Aveva fatto collocare dei microfoni nel mio camerino per scoprire se fra me e Glenn Ford ci fosse una relazione segreta durante le riprese di Gilda. A Hollywood a parte la Columbia che mi sollecitava di tornare per rispettare il contratto, ci fu la stessa reazione riservato in quel periodo a Ingrid Bergman quando decise di volare a Roma e sposare Roberto Rossellini. Non tornai subito a Hollywood, mi rifugiai dopo il matrimonio in Pakistan, lontana dai rumori e poi in India nel sontuoso palazzo della famiglia Khan a Pune.
Dopo tre anni di assenza e dopo il divorzio nel 1953 da Aly Khan, Rita interpretò Trinidad ancora con Glenn Ford. Il film ebbe un gran successo incassando al box office un milione di dollari più di Gilda, poi la Hayworth interpretò Salomè di William Dieterle al fianco di Stewart Granger. Non contribuì in quel periodo il suo matrimonio con il cantante Dick Haymes, al quale aveva risanato ingenti debiti, matrimonio che fini solo dopo due anni, dopo un periodo aggravato anche dalle dispute legali con Orson Welles e con il principe Aly Khan per riscuotere il mantenimento delle figlie.
E sorseggiando ancora dello champagne, aggiunse:
Il tempo non cambia solo l’età delle persone ma modifica la vita e ovviamente i rapporti di lavoro. Così dopo alcune divergenze legali con la Columbia accettai di interpretare il ruolo di una donna dal passato burrascoso in “Fuoco nella stiva” al fianco di Jack Lemon e Robert Mitchum. Era un set allegro e spensierato arricchito dalle cene fuori set e dai ritmi incalzanti eseguiti da Jack al pianoforte. Poi a proposito del fattore tempo, arrivò sulla scena di Hollywood e della Columbia Kim Novak, quelli che tutti indicavano come la nuova Rita Hayworth e finimmo per accettare entrambe di girare Pal Joey al fianco del mio amico Frank Sinatra
L’addio al cinema Rita la “rossa” lo diede nel 1972 con il film La collera di Dio.
Ci salutammo cosi, lei bellissima su quel divano di raso dorato, ricordando la volta che la intervistai senza fantasia. Nel 1977 la intervistai brevemente a Bari quando il dinamico Carlo Apollonio, intelligente operatore culturale gli consegnò il Valentino d’oro, premio Internazionale per ricordare le origini pugliesi del grande Rodolfo Valentino. In quell’occasione mi disse che avrebbe voluto vivere in Puglia nel Salento, a suo dire più bello della California. Molti anni dopo lo fece davvero una sua collega, Hellen Mirren.