Nightmare before Christmas: Platone spiegato da Tim Burton

Durante una dibattito con l’esperta di cinema di Tim Burton, Silvia Salvati, abbiamo convenuto di come Il genio dell’ex disegnatore Disney abbia estrapolato riferimenti culturali aldilà del grande schermo, per costruire la trama del suo capolavoro e cult generazionale Nightmare before Christmas.
Nonostante i rimandi culturali d’oltremanica all’Amleto di Shakespeare od al Frankestein di Mary Shelley – per citare due esempi – siano piuttosto espliciti e si coniughino alla perfezione con il fascino romantico del gothic novel inglese, quel che si vede – ad un occhio neanche poi così tanto attento ma sicuramente più curioso – è che il modello principale per la trama, quanto meno per la prima metà del cartone, è Platone.

Nel settimo libro de La Repubblica, Platone porta come esempio l’ormai celebre Mito della Caverna per spiegare il problema della gnoseologia e dell’interpretazione.
Il mito prevede di immaginare un gruppo di prigionieri costretto in catene fin dalla nascita nelle profondità di una caverna. I prigionieri vedono proiettate sulla parete della caverna le ombre delle figure del mondo esterno, che loro, impossibilitati a muovere arti e collo, ritengono essere l’unica realtà esistente.
Il cambio di paradigma avverrebbe nel momento in cui uno dei prigionieri viene liberato ed, uscendo, scopre il mondo esterno: la luce del sole abbaglierebbe inizialmente i suoi occhi ma poi, abituatosi, giungerebbe alla conclusione che esiste un mondo reale fuori dalla caverna.
Platone propone dunque di immaginare un ritorno dell’uomo nella caverna, dove ancora risiedono tutti i suoi compagni in catene; ovviamente il racconto delle esperienze dell’ex prigioniero susciterebbe prima ilarità e poi sdegno ed incredulità.

Ora ad una lettura traslitterata, sembrerebbe esser stata raccontata, con protagonisti diversi, l’avventura di Jack Skellington.
Lo scacchiere geopolitico dell’universo burtoniano è diviso in città-stato a seconda delle festività (città di Halloween, Pasqua, Natale, San Valentino etc etc.), ognuna delle quali non è a conoscenza dell’esistenza dell’altra. Jack vive con i suoi concittadini (mostri, zombie, streghe, lupi mannari…) nella città di Halloween, ma in momento di spaesamento ed inadeguatezza interiore decide di incamminarsi senza meta fuori dalla città.
Così come il prigioniero platonico, viene abbagliato dalla luce solare e si trova dinanzi ad un spiazzo circuìto da alberi, sui quali vi è apposta una porta emblematica di ogni festa. La curiosità mista a paura lo fa avvicinare alla porta con l’icona dell’albero natalizio – a lui completamente alieno – e di lì a poco si trova catapultato nella città del Natale.
Scoprirà un mondo altro, costellato di luci e gioia, opposto a quello fino ad allora conosciuto, in cui dominano sovrane l’oscurità e la paura.
Il desiderio che lo anima è quello di tornare dalla sua gente con in mano la comprensione del nuovo mondo da far adottare.
Decide quindi di chiudersi nella torre del Dott. Finkelstein nel vano tentativo di scoprire le leggi che regolano la magia del Natale.
Giunto alla conclusione che la scienza non può spiegare tutto, decide comunque di raccontare la sua esperienza al suo terrificante pubblico: la reazione, come previsto dal filosofo greco, è la derisione, l’incredulità, al massimo l’adozione di quei canoni soltanto se mitigati dal loro modo di intendere.
Ne consegue il disastro di un crossover Halloween-natalizio all’insegna dell’orrido, con renne scheletriche, regali mostruosi, ed un Babbo Natale rapito.

La trama sembra sovrapporsi al mito a tal punto che le ombre – ingannatrici per eccellenza in Platone – sono più e più volte presenti in scena e costruiscono l’antagonista principale nella forma del Bau Bau, “l’ombra che di notte va”.