Ferito a morte è lo spettacolo che Emanuele Trevi (drammaturgo) e Roberto Andò (regista) hanno adattato dal romanzo di Raffaele La Capria, scrittore napoletano scomparso lo scorso 26 giugno lasciando in eredità una storia così pregna di verità e sentimento da lasciare senza fiato e ancora di più se alcune scene di questo romanzo che fa parte della nostra identità sono così ben rappresentate in teatro da farci osservare tutto in apnea come se fossimo sotto il mare. In questo la scenografia è molto eloquente perché, appunto, alcune situazioni e stati emotivi sono rappresentati “sott’acqua”.
In scena Andrea Renzi nei panni di Massimo, il protagonista della storia, il ragazzo napoletano che amava il mare e la pesca subacquea che agli inizi degli anni cinquanta lascia Napoli per Roma. Ferito a morte è un viaggio nei ricordi di una Napoli tra l’armistizio e il secondo dopoguerra che vede al centro della storia Massimo, appunto, e i suoi amici, tra giocate a carte al circolo e uscite in barca, tutto accompagnato dallo struggimento per Carla, ragazza di origini francesi per cui Massimo si strugge ma che è contesa da altri, fra questi Sasà lo sciupafemmine della situazione, anche lui amico del protagonista.
Sasà non compare praticamente mai nel corso della messa in scena, una sola come fantasma, solo per un attimo, salvo poi affidare proprio in una scena chiave nello spettacolo.
In questo spettacolo corale, il mare si può considerare un altro personaggio, il servo muto alla mensa di questa storia, il custode della coscienza e dei ricordi di Massimo adulto che in un angolo del proscenio, chiuso nella sua stanza di ragazzo (lì dov’è metaforicamente rimasto) ricorda le lente giornate di un’estate o forse più di una in cui il tempo scorre lento ma fluido, come nell’acqua dove tutto si mescola.
Una perfetta fotografia di una società e di una città che a ben vedere non sono cambiate molto nel tempo e che anzi ci ricordano da dove veniamo, chi siamo stati e dove siamo arrivati. La storia è una storia di nostalgia, di partenze di memorie, una storia dalla quale è molto probabile abbiano preso spunto diversi autori per scrivere storie simili. Perché leggere Ferito a morte o, in questo caso, vederlo messo in scena ci tiene bloccati alla poltrona, ci arpiona come la spigola della prima scena, ci costringe ad ascoltare dall’inizio alla fine ed è come finire sott’acqua e restarci per tutto il tempo, fino al momento finale quando emergiamo e torniamo a respirare.
Impossibile non trovare similitudini tra gli stati d’animo del protagonista e noi, tra certe dinamiche di amore e amicizia e le nostre.
Ferito a morte ha vinto (per un solo voto) il Premio Strega nel 1961 e fu all’epoca un caso letterario che fece molto discutere, soprattutto per il modo in cui era scritto. In effetti non è semplice riassumere la trama ma possiamo dire che si tratta dell’ultima giornata a Napoli di Massimo De Luca nel 1954, anno in cui la storia (almeno in teatro) si conclude con la partenza di Massimo, tra gli abbracci e la nostalgia.
Il cast dello spettacolo vede Gea Martire vestire egregiamente i panni della mamma di Massimo, una immensa Aurora Quattrocchi nelle vesti della nonna, Giovanni Ludeno che tiene in piedi praticamente da solo buona parte dello spettacolo, facendo da contraltare narrativo alla voce narrante di Andrea Renzi (sempre impeccabile), nei panni del fratello di Massimo. Ludeno nella figura di Ninì in effetti fa un po’ da cantastorie della situazione, il menestrello, l’intrattenitore, il buffone di corte che con un paio di frasi determina il destino del protagonista. Marcello Romolo veste i panni dello zio Umberto, Paolo Cresta quelli del prof Gaetano che sarà la spinta per Massimo di andare via, dal momento che il professore partirà per Milano lasciando una Napoli definita come la città che “ti ferisce a morte o ti addormenta”.
Il cast si completa con i volti, sapientemente diretti, di Paolo Mazzarelli (Sasà), Laure Valentinelli (Carla), Sabatino Trombetta (Massimo giovane), Matteo Cecchi (Cocò), Clio Cipolletta (Assuntina/Mariella), Giancarlo Cosentino (signor De Luca), Rebecca Furfaro (Betty), Lorenzo Parrotto (Guidino), Vincenzo Pasquariello (cameriere).
Ferito a morte è musicale, perché è di fatto un concerto di voci, suoni, situazioni, ricordi, sentimenti e racconti diversi che, anche se confluiscono in un solo protagonista, hanno in realtà più protagonisti e almeno cento storie da raccontare, come del resto accade se si scende per la strada in un qualsiasi quartiere di Napoli. Allo stesso modo, la scena centrale del pranzo della domenica, la cui mensa viene di fatto spezzata in più tavoli è un chiaro riferimento a un’altra tipica tradizione napoletane che, in questo caso, viene frantumata, divisa in tante piccole solitudini, i commensali parlano tra di loro, ma ciascuno per portare avanti il proprio sé, di fatto senza ascoltare davvero e il loro eloquio, salvo alcune eccezioni è solo un esercizio di stile. Repliche fino al 30 ottobre.