“La voix humaine” con Sophie Duez: l’opera di Jean Cocteau al Teatro Olimpico di Vicenza

Il suono del telefono ha risuonato più volte durante il settimo spettacolo del 75° Ciclo di spettacoli classici al Teatro Olimpico: un rumore che è diventato accompagnamento, richiamo, appiglio di vita per la protagonista di un’opera eccezionale.

Questo spettacolo è “La voix humaine” tratto dal testo di Jean Cocteau del 1930 e interpretato in lingua francese da una bellissima quanto struggente Sophie Duez, per la regia di Giancarlo Marinelli. Gli ingredienti sono numericamente pochi ma il risultato di un impatto emotivo forte, personale perché ha saputo toccare l’intimità, la sofferenza con una modalità inedita quanto difficile, il monologo.

La protagonista senza nome (Sophie Duez) parla al telefono con l’amore della sua vita, che l’ha ormai lasciata. Questo dialogo particolare si sviluppa con un andamento sempre più in salita, contrassegnato da interferenze e da riprese, da scatti che testimoniano la difficoltà della protagonista di accettare la situazione, di andare oltre. Una condizione che si dilunga ed evolve per tutto lo spettacolo.

All’inizio la femme si dimostra forte, coraggiosa, quasi intraprendente per scendere sempre di più, inesorabilmente, nel buio dei suoi veri sentimenti: il dolore di essere abbandonata, la consapevolezza che niente sarà più come prima, il cambiamento conseguente all’assenza. Lei stessa tenta di mantenere la parvenza della normalità, cita il pranzo con Marthe, una routine che non esiste e che rivela la sua profonda fragilità: nasconde, si scusa, si addossa le colpe, definisce se stessa come stupida e l’altro come “buono, paziente”.

Accanto a quest’atteggiamento, emerge la realtà e l’esasperazione della sua condizione umana, non vuole perdere l’amore, si aggrappa con le sue ultime forze e scoppia quando si rende conto di non avere più niente tra le mani, nemmeno se stessa e la sua vita. “Je souffre” (“io soffro”) è l’unico suo sentire autentico. Le parole si intervallano, vanno da un estremo all’altro, tra sussurri e urla. Dolcezza e dolore, premura e rabbia, nostalgia e arrendevolezza: Sophie Duez ha interpretato, sulla stessa scena, registri e toni a volte opposti, dimostrando un’immedesimazione non facile e scontata. Mischia finzione a sofferenza, ironia a senso di perdita irrimediabile. Il ricordo del prima si confonde con l’illusione del presente e il grande, titanico sforzo di accettare di essere abbandonati, lasciati.

In sé la protagonista dà l’impressione di esagerare, di dimostrarsi a tratti patetica ma le sue battute, le sue affermazioni nascondono una condizione che potrebbe ben essere provata e vissuta nella vita quotidiana.

Si tratta dell’abbandono e della solitudine, i temi centrali del monologo. La femme è, di fatto, un’eroina che soffre come un essere umano.

Nel suo insieme, è stata un’interpretazione che ha chiamato in causa chi stava guardando, facendo scattare una presa di posizione, un’identificazione personale. La protagonista di Cocteau vive su di sé il dualismo del trattenere e del dover lasciar andare perché costretta, obbligata. La conseguenza interiore è una passione vera, tormentata e lacerante, viva sul palco, che la porta a pensare a gesti insensati, a dover accettare il vuoto rimasto, quel qualcosa che non si vuole. A fronte di questo, viene salvata dall’attesa continua della telefonata. La protagonista vive perché attende quella chiamata, il solo modo per mantenere un contatto, una relazione con l’amato. Si illude e spera fino all’ultimo, con quello stato d’animo a tratti smarrito, di chi sa ma continua a rimanere attaccato a qualsiasi, piccolo appiglio.

Ma Sophie, paradossalmente, non è sola. L’altra presenza fisica sulla scena è un cane che, nelle sue apparizioni, assume i tratti di una bestia, pronta ad attaccare. In realtà il cambiamento e la condizione vissuta si riversano anche sulla percezione dell’animale: la protagonista è cambiata a causa del dolore e non viene più riconosciuta, almeno fino al gesto finale. C’è infatti un passaggio particolare e delicato: quello che sembrava salvifico (l’altro al telefono) annienta, quello che pareva il nemico salva.

Se l’abbandono fa terra bruciata attorno, se la solitudine è in sé assenza, “La voix humaine” ha conosciuto un capovolgimento dal punto di vista spaziale. In questo caso il palcoscenico dell’Olimpico si è “riempito” di emozione e di enfasi, merito anche degli effetti suggestivi della tecnologia di D-Air Lab, di musiche contemporanee che hanno amplificato ulteriormente lo stato d’animo della protagonista. Proiezioni di gocce, immagini, cambi di luce, effetti ottici sullo sfondo palladiano hanno regalato un’ambientazione suggestiva e carica di effetti, di stupore. I sentimenti espressi da Sophie Duez hanno trovato una trasposizione visiva all’Olimpico grazie alla realizzazione di quest’ambientazione. Ha ulteriormente contribuito all’immagine anche la cura dei costumi di Diego Dalla Palma con la collaborazione di Laura Milani.

Un monologo in francese, l’uso dell’innovazione per raccontare la perdita e la sofferenza, la fine di un amore e la fatica, la consapevolezza di dover ricominciare anche quando non si riesce: “La voix humaine” si è fatta presente grazie ad un’unione formidabile che ha saputo racchiudere la classicità e la contemporaneità allo stesso tempo. Una sintesi teatrale ben riuscita, che è arrivata al cuore del pubblico perché capace di somigliare, di rappresentare anche solo un frammento dell’esperienza umana.

In quel telefono ognuno poteva rivedere se stesso, anche solo per poco.