È risaputo che la psicanalisi talvolta non raggiunga i propri scopi. Succede pure che potrebbe aumentare i problemi dei pazienti, o addirittura creare veri e propri disastri psicologici. Tutto sta nella scelta del medico: Maurizio, malconsigliato dalla fidanzata, si rivolge a un luminare per la verità poco illuminato dalla scienza. In fondo si tratta di trovare la causa di una fastidiosa eiaculazione precoce che non riesce a spegnere la focosità di lei e mortifica lui. Ci penserà il grande Grabski, psichiatra tanto esoso quanto infarcito di concetti appresi, forse troppo superficialmente, da Freud, Lacan e Jung. Su tutti incombe la figura mitologica di Edipo, padre di tutti gli inconsci malati; poi c’è la grande madre, come archetipo femminile. E poi, per il nostro Maurizio, per fortuna, ci sono soprattutto le polpette di sua madre, che però non riusciranno a scardinare né le teorie né le pretese economiche di Grabski.
Di più non si può svelare: anticipando le battute, o ispezionando la deliziosa drammaturgia ricavata dal romanzo di Marco Rinaldi, si toglierebbe al pubblico il gusto della trovata ad effetto e della risata improvvisa. I duetti tra Maurizio (Toni Fornari) e il grande Grabski (Riccardo Bàrbera) sono ben congegnati e resi frizzanti da un’intesa comica che andrebbe intensificata nel tempo. Non mancano, tra i due, accenni alla nostra comicità classica, specie nella scena in cui Maurizio sogna il suo psicanalista, momento in cui avviene un vero e proprio ribaltamento catartico. Brava Carmen di Marzio nella caratterizzazione di Francesca dalle diverse personalità: truce e antipatica, poi morbida e (sembrerebbe) amorevole, e infine (non sapendo che pesce prendere) eterea apprendista di yoga.
Colorate e luminose, e soprattutto in perfetto stile psicoanalitico le scene di Alessandro Chiti, accompagnate dall’ottimo disegno luci di Francesco Bàrbera. Ottime le musiche di Alessandro Panatteri, piene di ritmo e di allegria. E un particolare bravo ancora a Maurizio (il Fornari), il quale, uscendo da una delle tante sedute curative, se la ride e se la canta con voce assai brillante. Quando in teatro uno spettacolo raggiunge un ottimo equilibrio, come nel «Grande Grabski», il merito principale va al regista, che qui è Paolo Vanacore, anche autore della trascrizione teatrale insieme con Rinaldi.
A proposito dei divertenti duetti tra la vittima e il cialtrone, vien da pensare, a malincuore, che in appena otto repliche (quante sono quelle che si terranno al teatro di via Monte Senario) i due attori riusciranno probabilmente a «scaldare i motori»; e se il rodaggio è questo, il circuito lungo – c’è da scommetterci – potrebbe renderli fenomenali. Invece, purtroppo, i tempi cupi e malati del teatro impongono soltanto piccoli e brevi sprint che lasciano l’amaro in bocca sia agli interpreti che agli spettatori: proprio come una eiaculatio precox senza però i rimedi di Freud e senza le terapie di Jung, ma soltanto con l’incuria dei tanti Grabski.
Il grande Grabski, adattamento teatrale di Paolo Vanacore e Marco Rinaldi; dall’omonimo romanzo di Marco Rinaldi. Regia di Paolo Vanacore; con Riccardo Bàrbera, Carmen Di Marzo, Tony Fornari. Al Teatro 7 Off (Roma), fino a domenica 16 ottobre, e dal 20 al 23 ottobre.