Van Gogh a Roma

L’evento artistico dell’anno è finalmente arrivato. La capitale si appresta ad accogliere i grandi capolavori di Vincent Van Gogh provenienti dal museo olandese Kroller-Muller, che vanta la più grande collezione privata di Van Gogh al mondo, seconda solo al Museo Van Gogh di Amesterdam.


La mostra, visibile al pubblico dall’8 ottobre 2022 al 26 marzo 2023, è stata presentata alla stampa, accorsa da tutto il mondo, con una conferenza stampa quasi commovente; in particolare l’illustre intervento tecnico della professoressa Maria Teresa Benedetti ha caricato di aspettative il percorso espositivo.

Così dopo i consueti ringraziamenti da parte di Arthemisia, nella voce di Iole Siena, all’amministrazione capitolina con l’assessore Miguel Gotor, ai delegati dei partner ACEA e Generali, e soprattutto dal rappresentante del Kroller Muller, può iniziare il viaggio all’interno della vita di questo straordinario artista.


Il percorso segue l’andamento cronologico delle esperienze artistiche di Van Gogh, e non si può fare altrimenti con un artista così eclettico da stravolgere il suo modo di dipingere talvolta a seconda dei luoghi in cui risiedeva.
Il periodo vissuto nelle Fiandre, a contatto con predicatori e contadini, diventa il padre delle prime opere in cui domina il nero come simbolo del realismo spiritualizzato della condizione dei lavoratori, evidente
nel bozzetto preparatorio per I Mangiatori di Patate (1882) od ancora nella serie dei lavori usuranti (mietitori, raccoglitori di carbone, seminatori…), facenti capo alla pittura realista francese di Millet.
I dipinti di questo periodo sintetizzano il crescente interesse del Nord-Europa nei confronti di quelli che da ultima ruota del carro diventano gli eroi della Working Class  (già attenzionati negli scritti di Marx), con la tradizione coloristica quattrocentesca dei maestri fiamminghi, una costante stilistica che vedremo soprattutto nel ritratto.

Van Gogh – Il suono immersivo


Il carattere turbato di Vincent non esita a manifestarsi anche nelle prime opere: la disperazione che pervade una delle prime versioni del Vecchio che soffre (1882) ci mostra una marcata sensibilità che sarà caratteristica di tutta la sua produzione.
In una vita così altalenante e distruttiva, la sola costante è rappresentata dalla presenza onnisciente del fratello Theo, supporto economico e morale del pittore, il cui continuo epistolario rappresenta oggi il principale appiglio per la complessa comprensione delle opere.
La mostra saggiamente ne proietta alcune di maggior importanza, posizionate in maniera strategica affinché il pubblico le associ ai singoli momenti esposti in loro prossimità.


È proprio Theo a consigliargli in una lettera di “schiarire” la tela ed usare colori più accesi: la svolta avvenne nel 1886 con il trasferimento a Parigi e la conoscenza degli Impressionisti, della tradizione esotica nipponica, ma soprattutto della soluzione coloristica scientifica dei divisionisti Serurat e Signac.

La tavolozza diventa di colpo più vivace, senza abbandonare il nero, ma con una serie di accostamenti di tratti brevi e pennellate veloci che restituiscono verità alla percezione. L’evoluzione di quel tratto così rapido porterà alla svolta ritrattistica dello sfondo nebuloso, confusionario e talvolta psichedelico.

Van Gogh – In the café

Il pezzo più pregiato prestato dalla collezione Kroller-Muller è proprio un Autoritratto, esposto per la prima volta dopo il restauro, che ci mostra ancora una volta il proprio disagio esistenziale, non scegliendo di ritrarre su sfondo anonimo e vorticoso un modello, ma se stesso in posa di 3/4, osservatore attento di tutta la stanza come la Gioconda.

Dopo due stancanti anni di Parigi torna nella campagna, a dipingere i paesaggi della Provenza.
È qui ad Arles che si consumano le gioie più grandi, come il sodalizio con Gaugin, e soprattutto i drammi della separazione dallo stesso, della reclusione in ospedale psichiatrico e del suicidio.
È una continua lotta con la follia quella che caratterizza il periodo di Arles, una follia che sembra esser ancor oggi viva nella sua forma più alta di amore: ebbene, se, come lui stesso si definiva in vita, era visto come un “cane dal pelo ispido”, ora, grazie al lavoro di deificazione della consorte di Theo Van Gogh, è senza dubbio il pittore contemporaneo più amato, amato, per l’appunto, alla follia.

La malattia è dunque un farmacon per come lo intendevano i greci, con il duplice significato di cura e veleno, che produce  stanchezza ma anche ispirazione.

È principalmente questo dualismo spirituale ad aver attirato Elene Kroller-Muller, altra donna fondamentale per la fortuna postuma di Vincent, poichè ha visto il proprio dolore, il proprio disagio, dipinti in modo empatico da un altra persona.


La mostra è un’esperienza multisensoriale, con installazioni e musiche d’atmosfera che calano i presenti in un ambiente altro, rimanendo pur sempre tra le mura di un edificio stupendo come Palazzo Bonaparte.