“Soli d’autunno” è una raccolta di poesie e di brani in prosa scritti da Claudio Marrucci. Un testo unico, evocativo per riflettere sul rapporto tra uomo, la natura e l’ambiente. Dedicato ad Hanna, una ragazza dei Fridays for Future, “Soli d’autunno” è spiazzante, potente, capace di unire sfere sensoriali diverse e di richiamare l’emozione e la razionalità allo stesso tempo.
La poesia è uno di quei generi che riesce a trasmettere un messaggio utilizzando canali diversi, pensieri ed immagini in versi, con il risultato di colpire l’animo e la sensibilità di chi legge. La poesia arriva perché sa aprire la testa e il cuore con le stesse chiavi: una serie di parole che vivono di vita propria e resistono grazie alla loro potenza espressiva e di significato. Claudio Marrucci, docente, scrittore, traduttore e poeta romano, nel suo “Soli d’autunno” (Edizioni Ensemble) ci riesce molto bene ma fa di più, in questa sorta di lunga dedica, e aggiunge la prosa, a supporto ed ampliamento di quello che vuole trasmettere.
Questa particolare combinazione, detta prosimetro, mette al centro un tema attuale e urgente: il rapporto tra l’uomo e la natura, tra la situazione di ieri e l’oggi, i cambiamenti, ciò che resta. L’ambiente è ormai argomento all’ordine del giorno in tutte le sue sfaccettature, ma Claudio Marrucci decide di proporlo attraverso un’ottica diversa, con un serie di poesie di grande immediatezza e forza.
Questi brani sono brevi, fulminanti, dotati di parole che sanno disegnare nella mente paesaggi, contesti e atmosfere diverse e che riescono a dare forma ad emozioni vivide, come se vivessero già dentro a chi legge. Il risultato è il recupero di nuova consapevolezza, la possibilità di respirare gli attimi descritti, di essere lì con il poeta in quel dato luogo e di provare quell’immedesimazione nata dalle parole ma capace di passare attraverso l’emozione e farsi pensiero, riflessione.
I luoghi, gli spazi ci sono, esistono e alcuni hanno un nome preciso, rimangono, sono vissuti quasi con rimpianto e amarezza e c’è l’inesorabile involuzione, il cambiamento, quel mutato rapporto tra l’uomo e la natura, l’ambiente. Una relazione che non è più sana ma contrapposta e squilibrata, dove l’uomo padroneggia e logora, porta allo sfinimento e al completo esaurimento il mondo circostante. Claudio Marrucci con una serie di accostamenti e contrasti, di rimandi alla sua esperienza, all’infanzia e al ricordo, traccia la sua considerazione e il suo punto di vista sulla questione.
“Sopravvivremo /a noi stessi? /Di certo, la natura, /sopravvivrà a noi.” Questa è una delle sue affermazioni, dopo aver messo sulla carta le sensazioni, il passato, le differenze tra ieri e ciò che oggi rimane. C’è uno scarto pericoloso, una frattura che si sta allargando sempre di più. Il restante che sopravvive non basta, è troppo poco. La bellezza di un tempo, la vita naturale è stata distrutta, dimenticata e questo processo sta continuando inesorabile.
L’atteggiamento del poeta romano è nostalgico e a tratti duro, sembra arrendevole, spiazzato dal presente ma consapevole che potrebbe esserci molto altro un domani. Il pensiero va alle generazioni future e ad Hanna, questa giovane ragazza che reclama il suo di domani nei cortei dei Fridays for Future, e a lei (ma in generale a tutti) va il compito di trovare soluzioni e rimedi, di non smettere, “impara soprattutto dalle debolezze dei tuoi maestri, solo così potrai superarli”.
Nel suo “piccolo”, il poeta è testimone e voce degli avvenimenti, scuote e apre l’immaginario attraverso un ritratto fedele, crudo e autentico della realtà. Ma è una rappresentazione fatta di parole che richiamano l’emozione, la sensibilità, sfere sensoriali diverse che toccano il pensiero e la razionalità. Può sembrare impossibile, ma è attraverso il linguaggio poetico che Marrucci parla alla coscienza e al senso critico. Denuncia, ricorda, evoca per aprire un varco in chi legge, anche se piccolo. Poesie come “#La mia casa”, “#Volver”, “#Nostalgia dei naufragi”, “#Parco di Villa Adda”, “#Tomba dei giganti di Coddu Vecchiu”, “#Nuraghe Riu Mulinu” e tante altre sono toccanti e lucide. Nella loro apparente brevità sono cariche di forza e di espressività, di amore e ricordi, di interpretazioni talvolta difficili, dotate di versi lancinanti e veri, puri nel significato che vogliono trasmettere. Non girano attorno alla questione ma si manifestano immediatamente. Sono potenti nel sottolineare le nostre fragilità umane.
Anche il titolo è emblematico, “Soli d’autunno” (“La città ideale” come sottotitolo) potrebbe segnalare la nostra condizione, un richiamo personale e umanitario che ci accomuna. Il testo contiene però altri riferimenti importanti e non casuali, come le parti in prosa nominate “#La vita nova” in cui Marrucci si rivolge direttamente ad Hanna per spiegare e discutere i temi presenti e la sua opinione. L’accostamento di poesia e prosa ricorda molto da vicino l’opera di Dante, chiamata appunto “Vita nova”, una scelta dell’autore che viene ben spiegata nella prefazione di Ugo Magnanti. Non mancano anche i riferimenti al “De rerum natura “di Lucrezio, ai “Canti Orfici” di Dino Campana, ad Hanna Arendt e a contenuti riferiti ad una letteratura più scientifica (il principio di indeterminatezza di Heisenberg, il bosone Higgs, la relatività…).
Legami e nessi poetici, letterari scelti e ricercati per consegnare a chi verrà un testo solido e consapevole, critico, sofferente ma capace di instillare una piccola fiamma, una flebile luce. La poesia e la prosa di Claudio Marrucci si incontrano in chi le legge, spezzano la routine per aiutare lo sguardo a orientarsi verso l’esterno, a quell’esterno che circonda, alimenta, fa vivere, da cui dipende la nostra vita e che stiamo per perdere.