Il “Pinocchio di Zemickis e quel che ne rimane…

L’8 Settembre, Disney+ ha rilasciato “Pinocchio”, il tanto atteso live action che riporta in vita uno dei racconti più amati di sempre, ma che forse non convince.

Sin dal 1937 con “Biancaneve e i sette nani”, la Disney con i suoi classici ha fatto la storia del cinema d’animazione internazionale, trasmettendo per e ad intere generazioni quei valori importanti, forse, ormai di un tempo lontano. Con la tecnica del live action o del CGI (computer-generated imagery) si cerca di attrarre quelle nuove generazioni troppo attratti da futilità 3.0.

Il “Pinocchio” di Robert Zemickis potrebbe esserci riuscito, portando sul grande schermo una versione ricca di sensibilità e nuovi messaggi da trasmettere al pubblico che non rispecchiano però i classici di cui si era abituati a vedere. I bambini dal 1883, anno di pubblicazione de “Le avventure di Pinocchio”, hanno imparato da questa favola di Carlo Lorenzini, meglio conosciuto come Carlo Collodi, che bisogna sempre essere se stessi, ascoltare la propria “vocina interiore” e essere bravi a distinguere il bene, dalle tentazioni, imparando poi dagli sbagli che si commettono. Il regista italoamericano di origini armene aggiunge a tutto questo un’evidente inclusività: la fata (Cynthia Erivo), anglo-africana con i capelli verdi e rasati che è turchina solo perché illuminata da un fascio di luce quasi alieno, dunque svestita di quell’abito azzurro con tratti definiti e amorevoli che creano sicurezze nei bambini e che Disney ha sempre presentato, bensì appare più simile alla fata Turchina del primo Collodi dell’800, mutevole, che soprattutto lancia un messaggio di consapevolezza femminile marcando la propria esistenza non perché affrancata ad un uomo. Dunque il regista propone una vera provocazione e lo sottolinea anche per la maestra Signora Vitelli (comparsa interpretata dalla bella attrice afroamericana Shelia Atim), ma tale provocazione non arriva, visto che questo remake nasce su una rilettura più fiabesca di matrice disneyana.

Il burattino figlio di un ceppo di albero di pino è più ingenuo, ma non bugiardo ed è voglioso di comportarsi bene per non deludere il suo “babbo” Geppetto, interpretato da Tom Hanks. Lo sfacelo inizia quando viene bruscamente cacciato da scuola, una volta entrato, perché non è un bambino vero, non perché cade in quelle tentazioni sviolinategli dal Gatto e la Volpe. Pinocchio dimostra tuttavia di avere maturità ma ancora tanta ingenuità. Nel finale il pubblico si trova davanti un protagonista che non ha nulla da invidiare a Rambo: lampi di genio, soluzioni risolte e tanto coraggio, anche troppo. Il tanto atteso finale appare diverso dal film originale del 1940, in cui non è importante il fine (diventare un bambino vero) ma come si è raggiunti ai propri obbiettivi di carattere morale. All’ultima scena, in cui il burattino si allontana mano nella mano con suo padre, non appare trasformato in bimbo vero, forse non lo diventerà mai, forse lo è diventato solo agli occhi del suo babbo.

Confrontando il Pinocchio di oggi con quello del 1940, a fare grande differenza è anche il personaggio di Geppetto. Non è una figura marginale come in origine, ma il suo ruolo viene approfondito, toccando e conoscendo aspetti di lui che accarezzano il cuore, tutto coccolato da una fotografia ineccepibile, con colori brillanti in quella bottega che regala tepore. Di contro però Zemeckis non ha realizzato un lungometraggio così bello quanto si aspettasse. Molti personaggi inutili hanno preso il posto di quelli presenti nel Pinocchio originale, il “Paese dei balocchi, scena da brividi da sempre, ha poco spazio e la scena quasi horror della trasformazione di Lucignolo in ciuchino è stata ridotta al minimo: è mancato quel fondamentale frame emozionale in cui il buono rimane affascinato dal bulletto e dalla sua vita senza regole, senza l’autorità che può talvolta porre freno ad un atteggiamento antisociale che tende a manipolare il più debole. Appare quasi nitido un chiaroscuro: il politically correct strizza l’occhio a relazioni superficiali. Il campo dei miracoli? Non pervenuto.

Tante piccole cose tolte che avrebbero fatto la differenza. Tante inutili aggiunte che hanno reso questo film, distribuito da Disney+, non degno di una vecchia collezione come quelle sacre in VHS