La Pixar riporta al cinema il suo primogenito, ma la storia attorno è deludente.
Dagli abissi del grande blu de Alla ricerca di Dory, l’animatore e il regista Angus MacLane ha battezzato il 26° lungometraggio Disney-Pixar tra le galassie dello spazio inesplorato con Lightyear – La vera storia di Buzz. Allo spettatore scettico lo schermo proietta una spiegazione secondo la quale ciò che sta per vedere non è un tributo al Buzz Lightyear della famosa e amatissima saga di Toy Story, ma un film da cui è tratto il giocattolo del piccolo Andy. In una sorta di prequel, la platea si trova ad assistere un’avventura filmica totalmente nuova e non inerente all’universo del primo lungometraggio d’animazione del 1995.
Allacciate le cinture, nel buio del cinema, il pubblico si immerge nel buio dell’universo. E’ l’anno 3901. Buzz Lightyear e Alisha Hawthorne sono due Space Rangers che esplorano un nuovo pianeta, quello di Tikana Prime assieme ad una nuova recluta. Il pianeta risulta essere privo di ogni forma di vita e del tutto inospitale, ma per colpa del protagonista e per una sua manovra errata dettata dalla sua testardaggine, costringerà tutto l’equipaggio a restare “momentaneamente” sul selvaggio e sconosciuto pianeta in attesa che Buzz risolva il problema.
Intanto passa un anno e Lightyear decide di testare il cristallo dell’iperpazio, fonte di energia per le navicelle spaziali, necessario per i viaggi intertellari. Con qualche rimando al capolavoro di Christopher Nolan con Matthew McConaughey Interstellar, dove pochi minuti corrispondono ad anni, l’esperimento non va a buon fine perché non viene raggiunta la velocità necessaria.
Lo Space Ranger si accorge che mentre lui prova a testare questa fonte di energia per pochi minuti, per gli abitanti di Tikana Prime sono passati 4 anni.
Il protagonista doppiato in lingua originale da Chris Evans non si arrende e continua una serie di tentativi senza successo, trascorrendo tantissimi anni interstellar sul nuovo pianeta. Buzz è sul punto di arrendersi per più motivi, ma inaspettatamente quel gattino robot, Sox, regalatogli dalla migliore amica e collega di sempre Alisha, riesce a creare un cristallo che dà speranza per il ritorno alla normalità.
Questo nuovo lungometraggio della Disney-Pixar regala un’incredibile bellezza visiva, degno dei grandi film del genere fantascientifico. Il personaggio di Buzz Lightyear non si mostra al pubblico come l’uomo perfetto, l’eroe di cui tutti hanno bisogno per salvare il mondo, anzi, risulta essere pieno di quelle sfumature che lo rendono ancora più reale. Il film affronta tematiche importanti: dall’omosessualità al fallimento, dove la frase cult “Verso l’infinito e oltre!”, che Buzz ripete spesso ad Alisha, appare avere una profonda consapevolezza dell’”infinito” delle fragilità umane, chiarendo forse che i supereroi non sono quelli con il mantello ma sono quelli che vanno “oltre” se stessi.
La pellicola parte molto bene, con azioni, sparatorie e tensioni che anche i più grandi speravano di vedere; poi però c’è un rallentamento che causa una poca omogeneità dell’insieme. Le parti comiche, le gag, risultano essere forzate e per nulla rese migliori dall’assoluta incapacità a doppiare delle voci italiane scelte dalla produzione (perché???).
I personaggi secondari, Space Rangers anche essi, sono completamente assorbiti dalla sorprendente capacità del gatto robot che sembra risolvere qualsiasi situazione e delude anche lo storico e atteso antagonista Zurg “nemico giurato dell’alleanza galattica” a cui viene riservato un tempo di presenza scenica paragonabile ad un cameo.
Lightyear – la vera storia di Buzz risulta essere solo un film gradevole ma la Pixar è tanto amata e il pubblico gli concederà una seconda possibilità, sperando in un lungometraggio dedicato allo sceriffo Woody e alla sua indimenticata voce italiana.