In Francia ha conquistato tutti, in America sta spopolando. La mostra immersiva è una nuova e proficua industria culturale… o altro?
Conquista i divi del cinema, i bambini ne sono i maggiori fruitori, la scuola la inserisce nei suoi programmi didattici: è l’Arte Immersiva che con la sua rivoluzionaria intuizione fattura miliardi e cambia la percezione dell’arte. Essa non è più riservata ad un pubblico con spiccate peculiarità, perché questa nuova tendenza, per l’appunto, immerge in un mondo di immagini enormi, con spazi che sconfinano addirittura sul pavimento e quello che era spettatore diviene parte dell’opera che si sta ammirando.
Nasce da un’idea tutta italiana con Massimiliano Siccardi, artista e Luca Longobardi, musicista. Cosa succede ad uno spettatore dell’Arte Immersiva? Cosa significa immergersi in un quadro? Significa avere la possibilità di vivere l’esperienza di stare nel “Campo di girasoli” di van Gogh. É la possibilità di esistere un’esperienza, insieme a tanti, a 360 gradi, dentro una fantasia di altri che diventa propria. Le persone camminano nel quadro, completamente immersi nell’opera, quasi un soggetto facente parte. Sensazioni di impotenza dentro la maestosità artistica proiettata in spazi immensi.
La caratteristica principale di questo movimento è la soggettiva: vedere con i propri occhi quello che ipoteticamente un artista osservava mentre creava, sporcando su tela con quelle pennellate danzanti pregne di colori. C’è questo rapporto personale con l’esperienza che poi non è nient’altro che il segreto del successo dell’opera. Pochi giorni fa, a Roma, sono state girate alcune scene della prossima opera immersiva su Mozart, con un ospite d’eccezione, il grande Michail Barysnikov, danzatore sublime e oggi premiatissimo attore. Egli stesso, dopo questa nuova iniziativa, ha detto alle telecamere: “film, teatro, istallazione, una sorta di momento riassuntivo della mia vita artistica”.
La colonna sonora dello spettacolo digitale non è quella di un documentario, è più una suggestione emotiva affinché il pubblico possa immergersi il più possibile nell’opera. Iniziativa dell’artista Massimiliano Siccardi e del musicista Luca Longobardi che ha permesso a tanti di godere, in pieno, opere che non avrebbero mai avuto modo di osservare. Le immagini totalmente inventate traggono ispirazione dalla vita di Mozart: dalla giovane età fino al viaggio in Italia, raccontandolo come uomo e come musicista, inserendo il cinema dentro l’arte immersiva, con la regia di Vittorio Guidotti, che ha sapientemente condotto il filo conduttore con fluidità cinematografica.
Molte star americane impazzano sui social pubblicando foto dentro le opere di Van Gogh o di Frida Kalho, ma sono anche i vip italiani e non solo che vogliono partecipare a questa nuova tendenza artistica, ma purtroppo per far si che questo accada, bisogna che l’allestimento sia in un enorme spazio che purtroppo l’Europa ancora non offre.
Molti critici però tengono a specificare la differenza tra arte e intrattenimento: la mostra immersiva non è da confondere con l’arte immersiva. Quest’ultima è un linguaggio artistico riconosciuto, che consiste in pitture composte da dati e sculture digitali. Chiamato anche “umanesimo digitale” ha come massimo esponente Refik Anadol. Nelle arti immersive invece, non vi è nessun approccio scientifico/creativo e nessuna collaborazione con artisti di alcun genere. Le esperienze museali immersive sono delle mostre spettacolarizzate in cui si mira sulla rivisitazione dei miti dell’arte anziché su innovative creazioni artistiche.
Le Mostre Multimediali Immersive prendono piede a partire dagli anni ’10 del 2000 in Italia con “Uffizi Virtual Experience”, un’esperienza tecnologica, immersiva e interattiva con l’opera d’arte, sostituendo l’oggetto artistico. Annullandone l’aura il pubblico fa un approccio con l’arte di carattere seduttivo, dunque l’aspetto concreto è di renderlo attivo e questo paradossalmente potrebbe sostituire le opere e deviare diversi concetti poiché è l’allestimento stesso ad elevarsi a opera.
Il fallimento della geniale intuizione potrebbe essere dietro l’angolo, l’eccessiva democratizzazione dell’arte potrebbe far escludere a priori una visita ad un museo con la sola contemplazione della grandezza umana come potrebbe essere l’esperienza di guardare “La pietà” di Michelangelo piuttosto che “la Gioconda“. Dunque l’invito è quello di non escludere il supporto digitale all’arte ma di intenderlo come valore integrativo, insomma calibrare gli apporti del progresso tecnologico nel rispetto di quella che è l’arte intesa come espressione dell’intimo e sublimazione dell’anima.