Cinematografico, hollywoodiano, novecentesco. Molto pop, un poco kitsch e swing, velato di burlesque. Leggero, scherzoso, colorato, immaginifico. Divertente e divertita come sono la più celebre tra le opere buffe può risultare. “Il Barbiere di Siviglia” proposto in questi giorni – ultima replica il 9 agosto – dal Teatro dell’Opera di Roma e chiusura della stagione estiva alle Terme di Caracalla, ha funzionato sotto ogni aspetto. Ha sorpreso, anzitutto, un pubblico accorso come una fiumana nella cavea: 4500 persone per ciascuna delle prime due repliche, risultato clamoroso se pensiamo che ci troviamo nel pieno della fuga vacanziera dall’Urbe.
Questo Barbiere, diretto da Lorenzo Mariani insieme a Luciano Cannito che ha curato anche le scenografiche e iperboliche coreografie, è tutto comicità e leggerezza. Nei due atti, contornati da elementi scenici sempre esagerati per dimensioni – il pianoforte, il totem e le poltrone girevoli del salone, la gabbia del canarino Rosina, le forbici da taglio, l’enorme torta del finale – emergono riferimenti evidenti alla tradizione del cinema a stelle strisce dagli anni ’20 fino ai ’50. L’atmosfera è bonaria e giocosa, il ritmo di scena rimane regolare dall’inizio alla fine. Sapiente il lavoro di William Orlandi, lo stesso si può dire del lavoro di Linus Fellbom alle luci: brillanti, vivide.
Di sfondo, poi, ci sono le partiture di Gioacchino Rossini magistralmente dirette dal maestro Stefano Montanari e suonate dall’Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera. L’armonia è totale, così che possono esaltarsi i quadri ed emergere i caratteri degli interpreti: Renè Barbera (Conte d’Almaviva), Marco Filippo Romano (Don Bartolo), Cecilia Molinari (Rosina), Markus Werba (Figaro), Alex Esposito (Don Basilio), Davide Giangregorio (Fiorello), Francesca Benitez (Berta), Leo Paul Chariot e Fabio Tinalli (l’Ufficiale). Uno spettro di personalità, abilità canore e sceniche che messo insieme da forma a un racconto fluido e scanzonato.
Le quasi 3 ore di spettacolo scorrono velocemente, ed il finale da matrimonio quasi circense è la sublimazione di un progetto che volutamente ha rotto e stravolto i canoni. Ma senza abbandonare una sola battuta del testo originale di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais.
Bravi, bravissimi.