Primo museo in Italia a predisporsi alla raccolta pubblica d’arte moderna, è la Galleria Civica D’Arte moderna e contemporanea di Torino (GAM). Si offre oggi come spazio di intersezione per linguaggi e formulazioni artistiche eterogenee.
Origine di un peculiare e variegato percorso espositivo, la prima sala diviene luogo di suggestioni per l’arte enigmatica di Giorgio De Chirico.
Risalta all’occhio “Bagnante al sole – Arianna abbandonata” (1931). Si fa espressione d’una sensualità classicheggiante resa manifesta nel corpo nudo di una donna stesa in riva al mare. Alle sue spalle il rocchio di una colonna s’intravede nel tramestio delle onde.
È un preciso gioco di accostamenti quello che accosta la contemplazione delle sue opere metafisiche alle composizioni di Giorgio Morandi e a quelle del l’antiretorico Filippo De Pisis.
Prosegue la traiettoria dello sguardo con le rappresentazioni femminili di Felice Casorati.
A dominarle, l’effetto plastico della composizione tanto nel gioco di profondità di “Bambina” (1919), quanto in “La donna e l’armatura” (1921) dove il bianco perlaceo del corpo di donna, contrasta con lo sfondo scuro dello sfondo.
Di notevole impatto è la prospettiva che emerge da “Finestra” ( 1931) di Italo Cremona. Un gioco di intravisti.
Due fuochi per chi guarda. Una finestra semiaperta, l’altra che lascia intravedere la sagoma china di una donna.
Se all’alba degli anni trenta la collezione del GAM assume una fisionomia nazionale, ciò avviene grazie all’acquisto di opere della Quadriennale di Roma e della Biennale di Venezia.
Paralleli sono in questi anni il riavvicinamento all’arte antica e lo sviluppo dell’astrattismo italiano.
Rilevante appare “Nudo” (1954) di Alberto Viani, dove avviene la resa astratta di un tema tipicamente figurativo.
Composizioni materiche ricorrenti all’utilizzo di sacchi di liuta e oggetti di scarto, quelle di Alberto Burri che nell’informale mette in atto un’ulteriore ribellione della forma.
Ampio spazio alle sue opere e a quelle di Lucio Fontana che tramuta la superficie pittorica, sempre monocroma, nel luogo prescelto al compiersi di un gesto violento, radicale, estremo nella sua essenzialità.
Una novità invece, quella di Kaputt. Progetto vincitore dell’avviso pubblico Cantica 21 Italian Contemporary Art Everywhere.
Ampio spazio inoltre, quello delle più recenti installazioni. Rilevante in questo contesto “Dormo nel frutteto” (1991) di Ilya e Emilia Kabakov e alla complessa vicenda che precede la sua composizione.
In riferimento alle limitazioni sovietiche, Kabakov ricrea il giardino della sua infanzia immaginandone l’ambiente dalla stanza di un ospedale psichiatrico. Dominata dal verde, l’opera viene firmata insieme alla moglie Emilia, collaborazione artistica che iniziò a partire dal 1988.
A chiudere il viaggio contemplativo si pone l’opera di Vincenzo Agnetti.
“Quando le parole si elevano a valore di numeri, i numeri valgono le parole”
In questo progetto del 1969 la sostituzione tra parola e numero si afferma come estremo livello di analisi critica.
Il linguaggio è azzerato, collassa.
Il linguaggio è desertico.
Già l’epifania di Agnetti si esplicitata nel precedente “La macchina drogata” (1968) :
“Una parola vale l’altra, ma tutte tendono all’ambiguità”.