Il lamento delle figlie di Danao si diffonde nella penombra. Il vorticoso l’esercito di donne innalza un coro di indignazione:
“Ci rifiutiamo di sposare uomini che hanno il nostro stesso sangue!”
In scena lo scorso 24 aprile al Teatro Furio Camillo di Roma “Le Supplici” di Eschilo per la regia di Adriano Evangelisti liberamente adattato e tradotto da Luigi di Raimo.
Un’imposizione affligge le Danai, quella dello zio Egitto che senza indugio le costringe a sposare i suoi figli: è la necessità di ribellione, di sottrarsi a un destino già deciso a spingere il loro agire.
Sebbene nell’Atene del V secolo le nozze tra cugini fossero ammesse, le fuggitive diventano il simbolo di una forza di ribellione che si oppone alle consuetudini, l’inizio di un cambiamento.
Accompagnata da un coro di voci strozzate, la fuga da Argo vede le donne invocare gli dei lasciando spazio al tremore e all’accenno di disperazione nel nome della libertà e della giustizia e opponendosi alla schiavitù del matrimonio, all’incesto. Punto focale dello spazio scenico è il gruppo di altari (κοινοβωμία,) volti alla supplica, su cui le Danaidi hanno disposto i propri rami.
La democrazia contro il dispotismo dei figli di Egitto, una nuova libertà femminile contro l’assoggettamento prescritto e ancora, il rifiuto della sessualità contro la necessità di procreazione.
“Siamo straniere, esuli”
Uno stormo che migra, che si scopre esule e che intona il canto straziante dell’esilio, un lungo vagabondare che prosegue fino a giungere al cospetto di Pelasgo, re di Argo, per rivolgere la propria supplica.
Nel chiedere alle donne la loro provenienza e identità, il re non le crede che siano argive: le tocca sul volto ascolta la loro storia, infine accoglie il loro lamento. Eppure, non è lui a dover decidere, è necessaria l’approvazione unanime del popolo riunito in assemblea.
Rispettare gli dei o gli uomini? Attorniato dalle supplici, Pelasgo si consulta per poi uscire recando la buona notizia: le donne vengono ascoltate, sono ora meteci, straniere accolte ad Argo.
Una luce fioca illumina la danza del coro. I loro veli bianchi sospinti dal movimento, hanno le sembianze di ali.
Innalzano un canto di gratitudine, ma ecco giungere la minaccia di guerra.
Evocativo appare Pelasgo, interpretato dal solenne Niccolò Sgrilli, così come l’araldo di Egitto, interpretato da Marco Gabrielli che restituisce il suo personaggio adoperando un linguaggio volutamente crudo e spezzato.
Sostenuti dalla vocal coach Valeria Fiore, i due attori e le sette attrici (Achiropita Dalila Bosco Anna Califano, Francesca Minotto, Raffaella Montanaro, Sofia Morabito, Veronica Prosdocimi e Rebecca Zaccariotto) vanno a costituire un cast d’eccezione.
La caratterizzazione dei personaggi va infatti di pari passo con una resa vivida del fatto tragico, accentuata dagli elementi di scena e dai costumi di Monica Raponi e dalle musiche Giacomo Zumpano.