La Papessa” tra fede, passione e mito

Beatrice Schiaffino incanta alla Bottega degli Artisti.

Intorno a Papa Giovanni VIII aleggia un mistero tra i più oscuri nella storia della Chiesa. Fu in carica negli anni dall’853 all’855, ma solo con la Riforma protestante, 600 anni dopo, si levò ogni segreto sulla sua figura. Perché Johannes Anglicus sotto la tiara fu Johanna, una donna. Fatto inconcepibile e blasfemo, per un’autorità religiosa tout court maschile e maschilista. Sì tale fu lo scandalo e la vergogna, nelle secrete stanze, che si decise di cancellare ogni traccia di questo pontificato. Che da allora, dunque, giace sospeso tra storia e leggenda.
“La Papessa” ha ispirato e fornito titolo a una pièce teatrale, scritta da Andrea Balzola e interpretata dalla eccelsa Beatrice Schiaffino. In regia l’esordio vincente di un’altra affermata artista, Carmen Di Marzo. La messa in scena è avvenuta dall’ 1 al 3 aprile alla Bottega degli Artisti, location intima e d’ispirazione bohémienne sita nel cuore di Prati. Una sala discreta che ha accolto tutti gli spettatori presenti con un calice di champagne.

Sul palco Beatrice Schiaffino è un portento. Completamente immersa nel tormento e nelle catene di un personaggio che subisce ma non riesce ad accettare gli schemi sociali e di genere. Sin da bambina, nelle terre alemanne, Johanna mostra straordinarie capacità d’apprendimento e un indole spontanea verso la conoscenza. Una sete di sapere che ogni giorno si fa più forte. Ma Johanna non può, è femmina. In famiglia riceve poco amore e ancor meno considerazione. Non si perde però d’animo, attinge al valore del coraggio e ad un’indistruttibile tenacia. Astuta, scaltra all’occorrenza, Johanna sa quello che vuole. Impara le preparazione delle erbe medicinali. Sfrutta le occasioni a suo favore, si traveste da maschio e riesce a entrare in un monastero. Dove finalmente può immergersi nei libri in maniera viscerale. E dove scopre anche l’amore, quello che fa tremare gli occhi e ardere le membra.
L’identità femminile per la prima volta bussa la porta nel suo cuore, lo farà di nuovo, più avanti, quando nella sua incredibile scalata ai vertici dell’Istituzione, sfiorando incauta anche la morte, arriverà sino al soglio pontificio. Papa Giovanni VIII, il titolo che riceve. Sale su un piedistallo, da cui tutto però perde la magia che aveva fino al giorno prima. Senza volerlo, un giorno, incrocia lo sguardo di un servo, non resiste. Si innamora, slanci di passione, rimane incinta. Quel grembo che ogni giorno cresce sotto le candide tuniche diviene fatica ed espiazione per una colpa che non sarebbe colpa, anzi miracolo della vita, ma in quell’ambiente si distorce in vergogna. Quella cerchia è appannaggio di un élite formata di soli maschi.
Viene, improvvisa, la fine del travaglio. Il travestimento non regge più, il sangue che torrenziale scorre sotto i piedi scrive la sentenza della sua morte, che è immediata, cruenta, pubblica. Giovanni VIII, per il clero e per i fedeli, non esiste più. Non è mai esistito.

Beatrice Schiaffino, con intensità straordinaria, dà anima e corpo a un personaggio diviso. Soffre, dentro e nel suo fisico. Tra due personalità che divergono per attitudini e pulsioni: la fede, il sapere e la libertà di affermazione da una parte, le emozioni e le pulsioni di femmina dall’altro. Per quanto nascosta, negata, taciuta, l’identità primigenia di Johanna ha il sopravvento. E il prezzo da pagare si fa carissimo. La sua vicenda anticipa di secoli e secoli un dibattito sulla condizione delle donne tutt’ora attualissimo.

La cura per i dettagli è una cifra di questo spettacolo. E’ fluido, scivola veloce. Buona la prima in regia per Carmen Di Marzo, che asseconda perfettamente gli slanci, le pause e i cambi scenici della protagonista. Un’atmosfera luminosa, sublimata dalle musiche originali composte dal maestro Alessandro Panatteri, ottima anche la selezione di costumi curata da Loredana Redivo.

Nella narrazione, densa di rimandi storici e filosofici, Balzola invece è abile a sovrapporre il mito, con particolare rimando agli Arcani dei Tarocchi. Le Sette carte rappresentano lo scrigno della simbologia occidentale, quella più antica, nata dalla fusione tra mitologia greco-romana, esoterismo religioso e pratica alchemica.
Imprevedibile e così piena di ambivalenze, la Papessa incarna un Arcano maggiore, il secondo. Che, come il numero due, è dualità tra materia e spirito. Tra due di sé che tendono in direzioni opposte e che rappresentano punto di partenza per un ciclo che l’autore torinese e l’attrice ligure dedicheranno in forma estesa ai Tarocchi.

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