Michela Cescon nel cinema prende parte nel 2004 in “Primo amore” di Matteo Garrone nel quale già viene candidata a importanti premi fra cui quello di miglior attrice ai Nastri d’Argento e al David di Donatello.
Passano gli anni e dopo i successi sul grande schermo recitando al fianco di nomi noti, fra cui Ferzan Ozpetek e Marco Tullio Giordana, continua a confermarsi un’ottima scoperta anche in tv, ed è il caso della popolare serie televisiva “Braccialetti Rossi”, il suo è il ruolo di mamma Piera.
E’ da poco reduce dall’esordio nella scrittura del lungometraggio “Occhi blu”, in cui un rapinatore misterioso a bordo di uno scooter sparge terrore nelle vie romane percorrendo la strada di un intrigante thriller con Valeria Golino, Ivano De Matteo, Jean-Hugues Anglade presentato alla 67a edizione del Festival di Taormina (2021).
Attualmente sta portando sui palchi Italiani la regia dello spettacolo teatrale “L’attesa”, dal testo dello scrittore Remo Binosi. La lunga elaborazione, la vede prendere spunto da uno studio sul ritratto femminile, che diviene il valore aggiunto di un lavoro di squadra mosso da uno sguardo affettivo fra lei e le interpreti Anna Foglietta e Paola Minaccioni. Poco prima della terza data all’Auditorium Parco della Musica ce ne ha parlato.
Perché hai scelto proprio Anna Foglietta e Paola Minaccioni?
Lo spettacolo nasce da un rapporto di amicizia, sono due donne che stimo molto e a cui voglio molto bene, da tre quattro anni avevo voglia di portarle in scena dando loro l’occasione di fare della prosa, detta in modo un pò vecchio, dell’arte drammatica. Spesso Anna Foglietta e Paola Minaccioni, attrici popolarissime molto amate dal pubblico, vengono chiamate per gli stessi ruoli. Nel nostro panorama italiano tu prendi una via, Anna la ragazza della porta accanto, simpatica, vivace nelle commedie, anche se ultimamente ha interpretato delle madri importanti, invece Paola è nei film molto divertenti. Avevo voglia di dar loro occasione di interpretare dei ruoli in teatro, perché da delle grandi opportunità a differenza del cinema. A un certo punto ho capito che dovevo metterle in un testo contemporaneo che è una mia specialità, faccio sempre i testi contemporanei! Però non le volevo in jeans e maglietta, volevo allontanarle da Foglietta e Minaccioni. La scelta quindi è caduta in un testo che avevo visto tanto tempo fa dove loro sono dentro abiti del ‘700 come se fossero imprigionate in delle maschere, non hanno maschere in viso ma l’abito d’epoca le nasconde un pò. Gli attori di teatro quando recitano dentro a qualcosa che li costringe, recuperano una libertà notevole. In scena si vede l’attrice, non più Foglietta o Minaccioni e… risultano straordinarie.
Come descriveresti il rapporto che lega le due protagoniste, la nobildonna Cornelia e la sua serva Rosa?
Ci sono due classi sociali molto nette, c’è la Foglietta che è una contessa, promessa sposa al re di Francia, Paola è la sua serva, che, le viene data per controllarla e prendersi cura di lei. All’inizio i rapporti sono di sottomissione e comunque di ruolo. Il testo è molto importante e interessante, perché ha uno sviluppo, dato che rinchiuse per nove mesi all’interno di una stanza, per quanto aristocratica o grande, nella campagna veneta, piano piano i corpi e i ruoli si liberano, cominciano a conoscersi, cominciano a volersi bene, cominciano a relazionarsi talmente tanto che a me piace pensare che poi alla fine sono quasi la faccia della stessa persona.
L’azione è ambientata nel ‘700, come si posiziona il suo linguaggio rispetto all’oggi in cui vediamo la rappresentazione scenica?
Binosi con intelligenza e maestria, sembra che il teatro lo conoscesse bene, usa due tipi di linguaggi: per la serva il veneto, in un dialetto veronese, in quanto Binosi era Veronese, siamo nel ‘700 veneziano, mentre la contessa parla un italiano letterale perché è una che ama scrivere, leggere e come tutte le donne molto ricche è sola, l’esperienza di condivisione è fatta con la dama di compagnia ed è dovuta alle letture di libri importanti e non alla lingua parlata per strada o con gli amici. Queste due lingue sono nettamente separate e si mettono insieme come se fossero due mari che si incontrano in maniera molto armoniosa e non si sporcano mai, nessuna cade nel linguaggio dell’altra. Fino alla fine parlano in modo diverso, quindi questo le separa molto.
Come hai gestito le attese, quindi i momenti che hanno preceduto l’intuizione delle scelte artistiche durante la direzione di questo spettacolo?
A me piace avere molto tempo, sono una che non ha fretta nel progetto artistico. Questo progetto ha avuto un lavoro di due anni e mezzo, poi magari le prove si fanno in venti giorni però quando ho l’intuizione scelgo il testo, ci lavoro molto, attendo a lungo che il lavoro lavori da solo, poi vengono fatte delle scelte drammaturgiche importanti lavorandoci. Con le attrici ho avuto la fortuna che conoscendole bene spesso ci si incontrava e lo si leggeva, ma senza dare chissà che indicazioni, la testa ragiona piano piano. Arrivano delle scelte anche prima di provare, come il capire che nello spettacolo non ci voleva la musica, infatti ci sono solo suoni della natura che entrano nella stanza, o la decisione di togliere via un personaggio, il testo originale ha una nutrice che qui non c’è. Credo che la forza di una creazione è proprio nell’attesa, nel non aver fretta, quindi è una buona domanda.