“La dolce guerra” al Quarticciolo: La recensione

 di Laura Dotta Rosso

“Se parti non mi vedrai mai più… è impossibile, ti ho nella pellicola”.

Questa la frase che include l’essenza dello spettacolo “La dolce guerra” andato in scena lo scorso weekend nelle giornate di sabato 12 e domenica 13 ottobre al Teatro Quarticciolo.

Sembra di guardare una cartolina, di tornare negli anni della prima guerra mondiale, alle cuffiette tanto amate dalle donne, alla paura, alle disuguaglianze sociali, ai profumi delle ragazze percepiti per strada, all’uso del cinema come divulgazione di idee politiche; si torna ai 200 film di propaganda bellica.

E’ la storia di una maestra che corregge i compiti…rosso, blu …questo è il ritornello che continuamente le si sente pronunciare; rosso, blu sarà anche il motivetto che le farà comprendere, solo dopo essere stata trasferita per aver protestato contro il divario di salario tra lei e i suoi colleghi uomini e aver visto il marito partire come cineoperatore di guerra, che i bambini non sbaglieranno più e rimaranno in silenzio, non avendo più idee su cui sbagliare, lobotomizzati dalle idee del regime.

Il marito, partito per il fronte, si accorgerà che tutte le tanto attese riprese di morti, bombardamenti che tanto lo elettrizzavano per concludere il suo film, non lo renderanno più così orgoglioso e fiero.

“ Non esistono storie vere o finte , esistono guerre che uno vuole raccontare”. Quali sono davvero le guerre che meritano di essere raccontate? TATATATA…il suono onomatopeico della mitragliatrice attraversa tutta la stanza…le aspirazioni, le delusioni di questa giovane coppia si percepiscono; gli attori, Elena Ferrari Mariano Arenella, riescono a tenere la potenza scenica per tutta la rappresentazione, lo schermo trasparente che permette di proiettare informazioni storiche alternate a immagini dell’epoca, aiuta a visualizzare tutta la performance come un film, anche se blocca l’immedesimazione totale della scena e sembra davvero di non essere presenti in sala.

I ritmi dello spettacolo si identificano molto bene negli anni venti, risulta però difficile rimanere concentrati fino alla fine visti i ritmi molto differenti della società attuale. La regia è elegante, molto coerente ed efficace, riesce a fondere il romanticismo con le atrocità narrate, viene voglia di mettere stop, in quella che si pensa realmente essere una proiezione, per poter fotografare le immagini affascinanti e ammalianti. Questo racconto tra poesia e psicologia dell’essere umano ci fa comprendere come vivere, a volte, sia una lotta contronatura e ci ricorda che dietro a un grande film, c’è una grande storia non raccontata.