“Enrico IV” al Teatro Basilica: La recensione

 

di Miriam Bocchino

In scena al Teatro Basilica, fino all’8 marzo, lo spettacolo “Enrico IV” con la regia di Antonio Calenda.

L’opera consente di osservare sulla scena l’interpretazione di Enrico IV da parte di Roberto Herlitzka e di ammirarne la gestualità e le espressioni facciali, in grado di riportare in vita il personaggio di Luigi Pirandello.

Lo spettacolo ripercorre esattamente l’opera del drammaturgo, con pochissimi elementi innovativi.

Il protagonista è un uomo, ormai anziano, a cui la vita ha giocato un brutto scherzo. Durante una cavalcata mascherata è caduto battendo la testa ed egli, che interpretava Enrico IV, si è convinto di esserlo realmente. Al suo fianco, vent’anni prima, vi era La Marchesa Matilde Spina (Daniela Giovanetti) di cui era innamorato e il Barone Tito Belcredi (Armando De Ceccon), invaghito della stessa.

Sono trascorsi 20 anni da quel tragico incidente e i due, insieme alla figlia Frida (Giorgia Battistoni), al medico (Sergio Mancinelli) e al Marchese Carlo di Nolli (Lorenzo Guadalupi) decidono di recarsi da Enrico IV per cercare di guarirlo. È la Marchesa la portatrice di questo fervido desiderio; è una donna che da sempre è stata attratta da Enrico IV, o piuttosto da chi era prima, e nonostante la sua relazione con Belcredi sente l’esigenza di rivederlo e di tentare un esperimento per fargli riacquistare la salute mentale. Ad accoglierli troveranno i quattro consiglieri segreti di Enrico IV, quattro attori che interpretano i loro ruoli: Landolfo (Alessio Esposito), Arialdo (Stefano Bramini), Ordulfo (Lorenzo Garufo) e Bertoldo (Dino Lopardo). Quest’ultimo è giunto da poco a casa di Enrico IV con la convinzione di dover interpretare una parte nell’omonima opera di Shakespeare e, quindi, si ritrova totalmente impreparato e spaesato per ciò che sta accadendo. Arrivati nella dimora di Enrico IV, la Marchesa ed i suoi accompagnatori saranno costretti ad indossare vesti antiche (scene e costumi di Laura Giannisi) per conferire con il protagonista. Essi non potranno mostrarsi nella loro “realtà” e con gli abiti moderni ma dovranno interpretare ognuno un ruolo diverso.

Enrico IV, appare sulla scena solo successivamente, rispetto l’inizio della pièce, consentendo un maggiore dinamismo allo spettacolo, il quale, fino a quel momento, ha assunto toni placidi, frutto di una recitazione non pienamente sviluppata.

Enrico IV si prenderà gioco degli ospiti, facendosi credere pazzo ma essendo ormai guarito da molti anni. Sarà accondiscendente osservando le loro fallaci convinzioni di verità.

Pirandello porta in scena l’uomo e la sua pazzia. Induce alla domanda: chi è pazzo e chi è normale? Vi è una linea di demarcazione tra i due?

La pazzia è tale in quanto definita da qualcun altro, ma nessuno di noi appare all’altro come noi stessi crediamo di essere. Di conseguenza, essere considerati pazzi è solo una definizione. Chi non si riconosce in un altro e lo crede diverso, spesso, lo definisce folle.

“Tutta la vita schiacciata dal peso di una parola”.

Il protagonista non si rispecchia nella società moderna, non trova il proprio posto e ormai i suoi capelli grigi, divenuti tali indossando la maschera di Enrico IV, non gli consentono di tornare ad essere chi era all’origine. Sceglie per sempre la sua maschera da indossare, una maschera che lo definisce come pazzo, ma solo perché differente da quelli che gli altri uomini indossano ogni giorno e che appare normale.

“Ci mascheriamo da ciò che ci pare di essere”.

Lo spettacolo di Antonio Calenda, pur nella sua semplicità (nessuna scenografia e pochi cambi di luci) consente di conoscere l’opera di Pirandello ma non di apprezzarlo; questo avviene, soprattutto, a causa di un errore tecnico nell’audio che non permette al pubblico di sentire chiaramente le parole pronunciate da Robert Herlitzka. Si percepisce la bravura dell’artista solo dalla sua corporeità ma non dalle sue parole (componente assolutamente essenziale per un’opera di Pirandello).

L’interpretazione degli altri attori, presenti sulla scena, non è in grado di essere affine a quella di Herlitzka e di conseguenza crea momenti di stallo, in cui la dinamicità viene meno.

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