Classe ’86, Giuseppe Sartori si forma accademicamente alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano. Nella sua ricca carriera ha avuto modo di lavorare con grandi nomi del panorama registico nazionale come Luca Ronconi (in opere come “Fahreneit 451” e in “L’Opera Seria“) e Carmelo Rifici (in “Il gatto con gli stivali” di L.Tieck). Collabora per anni con la Compagnia Ricci/Forte in numerosi, spettacoli come PPP ultimo inventario prima di liquidazione.
Negli ultimi anni ha affascinato il pubblico del Teatro greco di Siracusa dando vita a due personaggi della tragedia fra i più studiati e discussi: Oreste, in Coefore/Eumenidi di Davide Livermore ed Edipo in Edipo Re diretto da Robert Carsen. Due interpretazioni, in particolar modo quello di Edipo, che hanno lasciato un segno nell’animo di chi ha avuto la fortuna di vederle.
Prima Oreste con Livermore, poi Edipo con Carsen, due uomini complessi e molto discussi. Che cosa hanno lasciato in te questi personaggi e queste esperienze?
Oreste per me è stato il debutto al Teatro greco, è stata la mia prima esperienza siracusana e complice l’impianto scenico di Livermore e la drammaturgia stessa di Coefore/Eumenidi ho avuto la possibilità di mangiarlo questo percorso e di avere un personaggio che si interfacciava con Elettra di Anna Della Rosa e Clitennestra di Laura Marinoni. Mi ha permesso di lavorare con due meravigliose attrici, oltre che con tutto il resto del cast di Orestea, ed è stato un turbine.
È stato pure l’anno successivo al Covid, quindi immagina cosa ha significato, c’era proprio una fame di voler tornare a fare il proprio lavoro dopo i mesi di forzata interruzione.
È stato un personaggio che ha giocato sulle mie corde più muscolari, fisiche, di energia.
Edipo dall’altro canto, grazie al lavoro fatto con Robert Carsen, è stato un lavoro più a pulire la presenza e a trovare una forza ancora più grande nel corpo e nelle parole, ma andando a togliere tutto quello che fosse superfluo e tutto che fosse “spettacolare” per il gusto di esserlo, fino ad arrivare a una compostezza, a una determinazione molto forti.
Questa è stata la direzione in cui Carsen ha voluto lavorare, non solo con me, ma con tutto il resto del cast. Anche per Edipo, la fortuna di poter lavorare con Paolo Mazzarelli, Maddalena Crippa, Graziano Piazza… si impara molto dai colleghi, oltre che dai registi con cui si lavora.
Robert Carsen ha scelto te per un Edipo la cui umanità viene completamente messa a nudo. Come ti sei preparato per questo ruolo così intenso?
Come sempre si lavora, provando, cercando di entrare nella testa di chi quel disegno registico l’ha in mente, cercando di tradurre le visioni e le indicazioni della regia, ma allo stesso tempo proponendo in modo funzionale e stando in ascolto.
Essendo l’Edipo talmente moderno nella sua struttura che è uno spettacolo basato sull’ascolto è stata la chiave di partenza di tutto: mettersi in ascolto della vicenda, delle parole, delle reazioni che quelle parole facevano nascere trattandosi della tragedia della “Conoscenza”.
In una precedente intervista hai affermato che sei “un attore che vuole sentirsi libero”, ma cos’è secondo te questa libertà per un attore?
L’unico modo in cui trovo la libertà è all’interno di confini ben chiari e netti. Sembra paradossale, ma in realtà è il recinto che mi dà la libertà.
Ho bisogno di un recinto chiaro, i cui confini posso testare e allargare proponendo e lavorando insieme alle altre persone, ma in teatro la libertà assoluta non esiste.
Sottostiamo a talmente tante e giuste regole, che sono le regole della comunicazione, le regole del lavoro, il buon senso del lavoro che la libertà è complicata.
Noi ci mettiamo in prima persona, ma non siamo gli ultimi fruitori di quel processo.
Negli ultimi anni (nel 2021) hai lavorato a un progetto molto particolare con Giuseppe Tesi insieme ai detenuti della Casa Circondariale di Pistoia, da cui è nato il cortometraggio “Stabat Mater” e in cui oltre che protagonista, sei stato anche aiuto regia. Cosa ci puoi raccontare di questa esperienza?
Non ero mai entrato in un carcere prima di allora. Prima di concretizzarsi in quanto cortometraggio, nacque come esperienza quasi di “insegnamento”, voleva essere un’esperienza di lavoro da parte di Giuseppe Tesi, su un testo e delle immagini con i detenuti della Casa Circondariale di Pistoia.
Io sono stato chiamato e catapultato in questo lavoro che a livello umano mi ha molto spaventato e arricchito allo stesso tempo.
La parte più importante di questa esperienza è stata la settimana in cui Giuseppe mi ha permesso di lavorare insieme ai detenuti e abbiamo chiacchierato e lavorato su queste parole prima ancora che si pensasse a cosa farne, prima ancora di pensare al risultato finale, non era quello l’importante.
Mi ricordo molto bene questa settimana di lavoro e di confronto con una realtà che sicuramente non conoscevo.
Da protagonista attivo di questa realtà, come vedi il mondo del teatro oggi?
Per quanto riguarda il mio ruolo, ho sempre vissuto questo lavoro mai come qualcosa di scontato e sempre come qualcosa che ci si doveva guadagnare, verso cui non avevi neanche un potere di programmazione sulla tua vita. È un lavoro in cui le cose arrivano, ma possono anche non arrivare, è un gioco di alti e bassi
Non ti so rispondere su come stia il teatro adesso, sicuramente per quello che mi riguarda ho fame di persone che abbiano voglia di dire qualcosa.
Mi piacerebbe che ci fosse più possibilità di incontro e che i grossi teatri soprattutto si chiudessero un po’ meno dentro i loro confini.
Inoltre, credo che serva guardare, soprattutto per quanto riguarda la regia, ai giovani. Bisogna dare fiducia.
La difficoltà di rispondere a questa domanda sta nel fatto che siamo tutti focalizzati sul nostro piccolo e sulle nostre necessità, e questo è un problema. A volte abbiamo condonato certi comportamenti quando invece una consapevolezza in quanto lavoratori di questo mestiere ci deve essere e mi rendo conto che non è facile e che non sempre sono stato anche io all’altezza dell’affermazione che ho appena fatto.
Noi non sempre siamo a conoscenza delle difficoltà che ci sono di mettere in piedi un lavoro, penso non solo agli Stabili, ma a chiunque voglia investire e di quanto credo sia complicato se non impossibile scontrarsi con la realtà, anche nelle cose più piccole: dalla ricerca degli spazi, alla produzione, alla ricerca di qualcuno che ti dia fiducia e che voglia scommettere su di te.
Puoi dirci a cosa stai lavorando adesso?
Adesso sono in una piccola pausa aspettando di tornare a Siracusa per il terzo anno. Questa volta non sarà per una delle tragedie, tornerò con Ulisse, l’ultima Odissea con la regia di Giuliano Peparini e di cui aspetto ancora di scoprire tutto.
Foto in evidenza di Manuela Giusto