L’Edipo di Carsen a strapiombo sulla verità

In scena all’INDA uno straodinario “Edipo re” di Sofocle, per la regia di Robert Carsen con Giuseppe Sartori, Graziano Piazza, Maddalena Crippa e Paolo Mazzarelli.

Imponenti e chiassose le tragedie si mostrano oggi come fossero spettacoli figli della modernità. La parola antica torna gloriosamente al centro delle arene mediterranee, prima fra tutte quella magica del Teatro greco di Siracusa. Ma, persino nell’istante in cui godiamo di quell’atmosfera auratica di fusione tra uomo e natura, l’originaria forma tragica rischia di essere confusa con altro, per poi essere liquidata.
In fondo, esistono soltanto due modi per mettere oggi in scena le tragedie greche. Da una parte, l’approccio più frequente, che ne fa qualcosa di spettacolare, una forma d’intrattenimento dal forte impatto emotivo e visuale e, dall’altra, diremmo il suo opposto. Nella definizione e nella ricerca di quell’altra via, Robert Carsen — che è, paradossalmente, prima di tutto un regista d’opera — è un vero maestro.

La coesistenza conflittuale e proficua tra moderno e antico si dà nel suo “Edipo re” nello spaventoso pericolo della contaminazione. Un sentimento che definirei ‘antidemocratico’ per eccellenza, ma che, forse più di ogni altro, anima questa tragedia sofoclea. Perché la prevenzione religiosa, magica e ritualizzata dai pericoli della contaminazione e del diverso come problematico (di cui modello e vittima suprema è proprio Edipo), contraddistinguono non solo una forma tipicamente greca, ma anche — tragicamente — postmoderna, di vita.

Questo “Edipo re” si apre, infatti, con un coro di spoglie nere mollemente appoggiate sugli avambracci, protesi in avanti, dei cittadini di tutto il mondo — il nostro. Una processione di corpi defilati dalla malattia ai margini della vita comunitaria, un corteo silenzioso in compianto, in cui non c’è più posto né per i colori, né tantomeno per le parole. La regia di Carsen vaga e si protende nel nero della notte umana, nell’ancestrale solitudine dell’uomo più isolato, nell’archetipo edipico e lì — al cospetto di quell’imponente e sontuosa scalinata bianca del palazzo tebano, realizzata da Radu Boruzescu — incontra il moderno.

Foto di scena dell’ “Edipo re” – ph. Michele Pantano

Ma nella spaventosa attualità di Sofocle, ricorrere a linguaggi e immagini tratti dal contemporaneo non costituisce mai la soluzione finale imposta dal regista. Perché la sua narrazione rimane ancorata, anche grazie alla pregevolissima traduzione di Francesco Morosi, alla potenza del senso e al ritmo tipici della poesia sofoclea. La postmodernità, la pandemia e il senso di fallimento che straziano l’individuo borghese, persino gli abiti del capitalismo, persino quell’inversione di genere che fa del vestito di Giocasta (Maddalena Crippa), sul corpo nudo e umiliato di Edipo, un’arma mortale e il simbolo della colpa più grande, non sono che mezzi — e quasi mai fini — nella narrazione di Carsen.

E ciò avviene non tanto per una logica ‘purista’ di attinenza filologica al testo antico, bensì per una ragione intrinsecamente antropologica: il cittadino greco, a cui il poeta tragico si rivolge per primo nella storia, oppone una sostanziale resistenza alla modernità. Un cittadino di sesso maschile, per lo più colto e agiato, che al riparo dai tumulti della società antica e dal corpo a corpo con la sua precarietà di essere assolutamente finito e mortale, ricerca la felicità.
Il destino tragico non è il nostro e questo è sempre bene ricordarlo. Edipo non è un tale che si possa incontrare in un qualche luogo, in una qualche città, perché non è che un esemplare modello di umanità, un insegnamento, un monito consapevole. Il senso della ricerca tragica della felicità nella civiltà greca è forse, in fin dei conti, tutta qui, al riparo dal bisogno di amare l’altro, di accettarlo senza remore.

E se ciò costituisce, a mio avviso, già una validissima ragione, affinché si debba smettere di sostenere — come pure si è fatto per molto tempo, forse anche per paura — che è dalla civiltà classica che è nata la democrazia, non mi pare infondato credere che un senso comunitario, di connessione ideale tra gli uomini e le donne del nostro tempo, sia qui all’opera. E ciò è possibile soltanto in questo angusto spazio verticale di sospensione del reale, come ortogonali, nette e chirurgiche sono le ombre degli attori, che Carsen traccia sulla scena bianca e granitica del Teatro greco di Siracusa.

-Robert Carsen e Giuseppe Sartori durante le prove dell'”Edipo re” – ph. Maria Pia Ballarino

Pertanto, laddove si tenti di ridurre la tragedia o le sue successive espressioni a una forma di ritualità astratta dall’uomo, tale posizione, per quanto suggestiva, non potrà rendere conto in nessun modo dell’enorme distanza che ci separa dal cittadino greco. Per questo ogni messa in scena contemporanea non può che essere un ‘tradimento’. E la grandezza di Carsen sta tutta nell’averci mostrato concretamente sulla scena — non senza una qualche crudele lucidità — questo tradimento. Ma nulla di tutto ciò sarebbe stato possibile senza la forza degli interpreti, che hanno animato questo “Edipo re”, che hanno avuto, innanzitutto, il coraggio e l’intelligenza di seguire fino in fondo il loro regista, senza residui, in questa spaventosa e bellissima impresa.

Quello di Giuseppe Sartori è un Edipo che, vestito di un elegante e modernissimo completo nero, corre spregiudicatamente in direzione dei suoi obiettivi. Al punto che, in quel suo modo così tecnicamente pulito e incontrastato di procedere (quasi sempre per linee rette), non sembra rimanere posto alcuno per la minima resa dinnanzi al dubbio. Dove la complicità o il conflitto sono sì possibili — soprattutto nella meravigliosa intesa creatasi sulla scena nei dialoghi con il Creonte a tratti ironico, vanitoso e scostante di Paolo Mazzarelli — ma non la vera natura del dialogo autentico.

Edipo (Giuseppe Sartori) e Creonte (Paolo Mazzarelli) in una scena dell’ “Edipo re” – ph. Le Pera

Fino a che non sarà la verità stessa a mostrarsi in tutta la sua crudeltà, Edipo sarà sempre, invece, pronto a puntare il dito contro quel dubbio che lo minaccia. Innanzitutto, accusando, come sappiamo, Tiresia, senza mai lasciarsi scalfire dall’ipotesi, che l’indovino non stia mentendo.

Un Tiresia che con Graziano Piazza si fa imponente sulla scena, come imponente è la saggezza greca. In quella convivenza problematica e oscura tra razionale e irrazionale, Piazza è un attore capace di una profondità tale da scuotere il pubblico immenso, che gli si staglia contro, in un solo lunghissimo e potente respiro. La sua profezia è un binomio perfetto di corpo e voce, che ci insegna moltissimo, ma che ci lascia increduli e inquieti, perché squarcia ogni tipo di ipocrisia. Non è vero che ciò che è sacro è soltanto santo — sembra quasi voler dire l’attore— perché il sacro è anche violenza, è anche maledizione.

Il corpo e il pensiero tragici — che così spesso abbiamo sentito confinare nella parola ‘destino’, ormai svuotata di senso — si dà quindi non nella debolezza del sentimento, bensì nella caduta dell’uomo più forte al cospetto della verità. Soltanto così si può creare quel vuoto — che poi è davvero moderno —, in cui questo Edipo precipita. E Sartori lo fa nel vero senso della parola, lentamente e al buio, calandosi dalla scalinata del suo stesso palazzo reale, all’indietro, ricoperto solo di quel peplo bianco ormai insanguinato, con gli occhi contaminati dalla verità e dalla morte.

Edipo Re

di | Sofocle
Traduzione | Francesco Morosi
Regia | Robert Carsen

Drammaturgia | Ian Burton
Scene | Radu Boruzescu
Costumi | Luis F. Carvalho
Luci | Robert Carsen, Giuseppe Di Iorio
Coreografie | Marco Berriel
Musiche di Scena | Cosmin Nicolae
Regista assistente | Stefano Simone Pintor

CAST

EDIPO RE | Giuseppe Sartori
CAPO CORO | Rosario Tedesco
CORIFEA | Elena Polic Greco
CREONTE | Paolo Mazzarelli
TIRESIA | Graziano Piazza
GIOCASTA| Maddalena Crippa
PRIMO MESSAGGERO | Massimo Cimaglia
SERVO DI LAIO | Antonello Cossia
SECONDO MESSAGGERO | Dario Battaglia
CORO DI TEBANI  | Giulia Acquasana, Caterina Alinari, Livia Allegri, Salvatore Amenta, Davide Arena, Maria Baio, Antonio Bandiera, Andrea Bassoli, Guido Bison, Victoria Blondeau, Cettina Bongiovanni, Flavia Bordone, Giuseppe Bordone, Vanda Bovo, Valentina Brancale, Alberto Carbone, Irasema Carpinteri, William Caruso, Michele Carvello, Giacomo Casali, Valentina Corrao, Gaia Cozzolino, Gabriele Crisafulli, Simone D’Acuti, Rosario  D’Aniello, Sara De Lauretis, Carlo Alberto Denoyè, Matteo Di Girolamo, Irene Di Maria di Alleri, Corrado Drago, Carolina Eusebietti, Lorenzo Ficara, Manuel Fichera, Caterina Fontana, Enrico Gabriele, Fabio Gambina, Enrica Graziano, Giorgia Greco, Carlo Guglielminetti, Marco Guidotti, Lorenzo Iacuzio, Ferdinando Iebba, Lucia Imprescia , Vincenzo Invernale
Althea Maria Luana Iorio, Elvio La Pira, Domenico Lamparelli, Federica Giovanna Leuci, Rosamaria Liistro, Giusi Lisi, Edoardo Lombardo, Emilio Lumastro, Matteo Magatti, Roberto Marra, Carlotta Maria Messina, Moreno Pio Mondì , Matteo Nigi, Giuseppe Orto, Salvatore Pappalardo, Marta Parpinel, Alice Pennino, Edoardo Pipitone, Gianvincenzo Piro, Bruno Prestigio, Maria Putignano, Riccardo Rizzo, Francesco Ruggiero, Rosaria Salvatico, Jacopo Sarotti, Mariachiara Signorello, Flavia Testa, Sebastiano Tinè, Francesco Torre, Francesca Trianni, Gloria Trinci, Damiano Venuto, Maria Verdi, Federico Zini, Elisa Zucchetti

Responsabile del coro | Elena Polic Greco
Direttori di scena | Angelo Gullotta, Carlotta Toninelli
Coordinatore degli allestimenti | Marco Branciamore
Responsabile sartoria | Marcella Salvo
Coordinatore audio | Vincenzo Quadarella
Responsabile trucco e parrucco | Aldo Caldarella
Costumi realizzati da | Laboratorio di sartoria Fondazione Inda
Scenografie realizzate da | Laboratorio di scenografia Fondazione Inda