Times New Roman, un titolo da prima pagina, l’intervista del The Times: le idee si accorpano convulse nella mente della giornalistache, riordinandole, si accinge a narrare la sua storia, a restituirne i tratti più fulgenti. Si declina il suo pensiero come inarrestabile necessaria ricerca della verità.
È la rassegna Trend: nuove frontiere della scena britannica, curata da Rodolfo Di Giammarco e giunta quest’anno alla sua diciannovesima edizione, a proporre The night di Henry Naylor in diretta streaming lo scorso 9 novembre.
Se la vicenda di Shamima Begum, studentessa fuggita da Londra per unirsi al gruppo dello Stato Islamico in Siria, si impone fin dall’inizio come evento cardine, esso si pone in un secondo tempocome motore d’una spasmodica ricerca dove foschi appaiono i confini fra desiderio di fare notizia e necessità di indagare su cosa la notizia nasconda.
Un tavolo in primo piano, una narrazione urgente quanto immaginifica che non ricorre all’elemento scenografico ma affida il racconto alla pregnanza delle descrizioni, al ricorso di pause, sospensioni, intermezzi sonori: in un flusso che alterna il discorso diretto al linguaggio di cronaca, il soliloquio alla brutale evocazione dei fatti, si colloca una vivida evocazione dei personaggi, il dar loro voce fra un’intelaiatura di minuziose descrizioni.
Un redattore tanto arrivista quanto islamofobo, un vecchio professore, un ex soldato assolto all’apparenza tormentato da atavici sensi di colpa: affidandosi ai tempi repentini di un thriller, il discorso procede lasciando spazio al soliloquio, alle associazioni di pensiero della protagonista che, pur sempre seduta,riesce a proiettarsi e proiettarci nello spazio multiforme di variegate circostanze cronospaziali.
“Se vuoi arrivare alla verità devi avvicinarti all’azione”:dapprima indirizzata alla mera raccolta di testimonianze, quelle dei connazionali assolti, la ricerca subisce deviazioni improvvise sviluppando la necessità di un nuovo approccio, quello del coraggio come arma per smascherare le menzognere credenze.
Non lineare ma articolato su più tempi, il discorso salta dal passato al presente, non rinunciando alla resa fluida e dinamica dei fatti enunciati, predisponendosi alla variazione di toni, alla copresenza di più voci, alla vivida descrizione delle atmosfere.
“Il nostro inchiostro segna la linea sottile tra potere e tirannia”, originatasi come riflesso di un’inchiesta giornalistica, l’opera si articola come lettura in musica affidata alle voci di Elena Sgrosso e Marco Bucci e indirizzata alla messa in atto di una meta riflessione sul giornalismo stesso, sulla dimensione del rischio e dell’approfondimento come risorse necessarie ad addentrarsi oltre l’apparenza di ciò che si racconta.