Al teatro Belli di Trastevere ha preso il via «Trend, nuove frontiere della scena britannica», rassegna a cura di Rodolfo di Giammarco. Apre la XXI edizione «Testimony», di Simon Bovey, drammaturgo e sceneggiatore inglese nato nel 1960: vien da pensare che l’autore abbia scritto, per dar voce a una ribellione collettiva, un dramma del quale egli stesso sia stato, in veste di comune cittadino, testimone senza diritto di parola. Esattamente come molti di noi (italiani) lo siamo stati quando simili fatti di cronaca sono avvenuti sul nostro territorio: vedi il caso Cucchi a Roma o il caso Magherini a Firenze. In teoria si dovrebbe aver tutti massima fiducia nelle forze dell’ordine, nelle autorità, invece, succede che increduli e inermi assistiamo alle vessazioni di chi ci dovrebbe proteggere. Bovey, infatti, punta il dito sul consueto abuso di potere da parte di chi ne detiene il controllo, e sulla condizione di «eterno colpevole» di colui che è già caduto in errore nei confronti della legge, senza possibilità di redenzione.
I protagonisti di «Testimony», la testimonianza, o meglio l’interrogatorio, sono chiusi in una stanza di un commissariato. I due poliziotti indagano sulla scomparsa di una ragazza e sospettano di David Vincent soltanto perché in passato ha già scontato un periodo di reclusione. Sin dalle prime battute si evince che il commissario capo Trent e Vincent si conoscono da tempo e che già abbiano avuto scontri intorno a quel tavolo. Qualcosa inizialmente sfugge al giovane sergente Harris, dai modi più civili e meno arroganti, ma l’evolversi dell’interrogatorio porta a un finale inaspettato.
L’allestimento per il palcoscenico sembra già scritto dall’autore: un tavolino con tre sedie, quanti ne sono i personaggi, che, quando non stanno seduti, vi ruotano intorno; qualcuno talvolta lascia la stanza, e poi ritorna; solo una scena si svolge in esterno e la si vede sul fondo dietro un tulle. In effetti il lavoro di Armando Quaranta, giovane regista, non doveva concentrarsi troppo sull’effetto visivo, così tenacemente ingabbiato dalle esigenze dettate dal testo, comunque soddisfacente; anche la gelida atmosfera creata dalla inquisitrice lampada al neon aiuta a coinvolgere l’attenzione dello spettatore sulla mancanza di umanità della situazione. Tuttavia «Testimony» è uno di quei copioni che necessita un approfondimento dialettico, che vive di un dialogo perfetto, che lievita negli equilibri dei toni e nel carattere dei personaggi, e i personaggi in teatro sono il resoconto di quel che dicono e di come lo dicono. Spiace dirlo, ma questo dialogo gira intorno a un cardine assai debole. Come in una partita di tennis, sia il sospettato Vincent (Giulio Forges Davanzati) che il giovane Harris (Jacopo Olmo Antinori) tirano le loro battute a chi di rimando fiacca la pallina costantemente in rete. Invece, il conduttore del gioco – colui che avrebbe in animo la direzione dell’interrogatorio e che quindi manovra le tensioni tra i personaggi – dovrebbe essere proprio l’anziano tenente Trent (Maurizio Mario Pepe), il quale è svantaggiato in partenza (e questa è responsabilità del regista) soprattutto perché anziano non è, e nel fisico non ha il peso scenico di un consumato «orco» da commissariato, come dovrebbe essere. Sono mancanze visive che portano a una scarsa credibilità dei dialoghi e quindi dei personaggi: il pubblico non potrà mai convincersi che il Trent che vede in palcoscenico abbia un carattere tanto energico quanto arrogante che solo il testo gli attribuisce. Una carenza che purtroppo l’attore non riesce a dissimulare neanche con un’adeguata recitazione, imprecisa e impacciata. Al finale il sergente Harris enuncia la morale che, per uno scherzo di Talia, suona come un avvertimento: «Se si vuol cercare il male, sarà l’unica cosa che si riuscirà a vedere». Ma, giuro, non è questo il caso.
«Testimony», di Simon Bovey, traduzione di Natalia di Giammarco, con Jacopo Olmo Antinori, Giulio Forges Davanzati, Maurizio Mario Pepe. Regia di Armando Quaranta. Al Teatro Belli, fino al 23 ottobre.
Trend, XXI edizione, Nuove frontiere della scena britannica. Rassegna teatrale a cura di Rodolfo di Giammarco. Al teatro Belli fino al 18 dicembre.