Se un comico come Chris Rock viene schiaffeggiato sul palco degli Oscar e poco dopo il suo collega Dave Chappelle viene assalito durante un suo spettacolo, è chiaro come ci sia ormai una battaglia tra la satira, quella più spinta, e il cosiddetto politically correct. Se da un lato il progressismo statunitense cerca di sensibilizzare il mondo su quanti più temi possibili, dall’altro la figura del comico vuole rivendicare la sua possibilità, in quanto satiro, di poter prendere di mira chiunque con le proprie parole. Ed è questa la posizione assunta anche da uno dei più famosi stand-up comedian di oggi, Ricky Gervais, che è sbarcato nuovamente su Netflix con lo spettacolo “SuperNature”.
“SuperNature” per sottolineare la grandezza della natura nei confronti della religione, in primis, target del comico inglese da tantissimi anni. Ma non solo. Nel suo monologo accattivante spara a zero su qualsiasi argomento a lui più congeniale, fregandosene altamente di ogni critica a cui sa benissimo di andare incontro. Maestro della mimica, si muove tra un tempo comico e l’altro con naturale disinvoltura, godendo sempre di più nel puntare con le sue battute sempre qualcuno o qualcosa di nuovo. A cominciare proprio dal politicamente corretto, da anni al centro del dibattito nel mondo dello spettacolo e dell’arte, e che, partito con i giusti presupposti, si è trasformato velocemente in una voragine, consumando qualsiasi cosa si trovasse davanti che potesse risultare fuori dagli schemi del mainstream.
Ricky Gervais mette in guardia da subito: “Questa è ironia e ce ne sarà parecchia durante lo show”. Perché questo è il mestiere di chi fa satira, “dire qualcosa che non pensa per far ridere un pubblico che accetta di ridere della cosa sbagliata perché sa cosa è giusto e cosa non lo è. Si fa satira sul comportamento”. La satira non è accanimento, non è ridicolizzare, ma creare una situazione paradossale ribaltandola più volte per far divertire l’audience. Gervais è uno attento all’attualità. Riesce a cogliere le sensibilità e le problematiche della contemporaneità per portarle su un palco, rovesciarle e riderne. Ovviamente non c’è nessun intento pedagogico, nessuna lezione morale, ma un’affermazione delle proprie idee in modo che possano suscitare qualcosa.
La battaglia tra satira e politically correct è inevitabilmente destinata a continuare, ma se una piattaforma come Netflix che, tra gli altri, prima pubblica tre spettacoli – poi cancellati nell’ambito delle accuse del “me too” – di Louis C.K. (forse il più grande in assoluto, oggi), due spettacoli del trasgressivo e tagliente Anthony Jeselnik e due spettacoli di Ricky Gervais, allora forse la comicità non è del tutto perduta. D’altronde se questa poi viene incanalata in binari troppo stretti finisce che perde di significato.
Potrebbe non essere il lavoro migliore di Gervais, che da creatore di The Office (quella originale inglese) e delle serie Derek e After Life – entrambe su Netflix, dove è possibile trovare anche il precedente spettacolo “Humanity” – riesce in tanti modi diversi ad affermare la propria comicità, a volte con il tipico british humor altre con con profondità e leggerezza, arrivando a presentare i Golden Globes del 2020 con uno storico monologo e un avvertimento: “Ricordate, sono solo battute, moriremo tutti presto e non ci sarà un sequel”.