Ricorre lo stupore con “Il Lago dei cigni” in scena all’Opera

Uno dei più acclamati balletti musicato da Čajkovskij, esordisce ancora con successo fra i fragorosi applausi del Costanzi

La nuova stagione 2024/2025 del Teatro dell’Opera di Roma si è aperta con l’inizio dell’estate, per proseguire fino a ottobre 2025 inoltrato. Dal 19 al 27 giugno 2024 è stato il turno del celebre balletto “Il Lago dei cigni” di Pëtr Il’ič Čajkovskij, scandito in quattro atti di eccezionale acclamazione, curati dal coreografo e ballerino Benjamin Pech, étoile dell’Opéra di Parigi. Nei ruoli principali la giapponese Fumi Kaneko, al debutto in questo luogo, e il russo Vadim Muntagirov, entrambi primi ballerini del Royal Ballet di Londra. La musica è affidata alla bacchetta di Koen Kessels, direttore musicale sempre del Royal Ballet.

Foto di Fabrizio Sansoni

Nella versione modernizzata di Pech, la principessa Odette viene tramutata in cigno da Benno, l’amico di lunga data del Principe Siegfried, essa allo scoccare della mezzanotte ritrova le sembianze umane per alcune ore. Sigfried, si innamora perdutamente di lei e giura di liberarla dall’incantesimo mettendo a repentaglio la propria incolumità. Successivamente si organizza un ballo al castello affinché egli trovi la donna da sposare. Alla festa si reca il mago Rothbart, con la figlia Odile vestita da cigno nero per confondersi a Odette e farsi scegliere come futura consorte. Il Principe inconsapevole si lascia sedurre dalla donna ma nel momento in cui arriva la vera Odette, la riconosce e capisce di voler sconfiggere il responsabile dell’inganno perpetuato, Rothbart, per sovvertire quanto accaduto.

È il tradimento il punto cardine dello svolgimento dei fatti e lo si riscontra nel comportamento disonesto di Benno, di Rothbart, di Sigfried e di Odile. Il finale si discosta nettamente dall’opera originale di Marius Petitpa, dal tono maggiormente drammatico e fino all’ultimo tragico. Pech invece riserba un valore decisamente favorevole all’amicizia, che infatti vince sulla malizia riconnettendosi con l’esaustivo lieto fine, in cui il perdono servirà a far riconciliare progressivamente i personaggi. Si pone così l’accento sull’importanza delle relazioni umane e della redenzione e meno sulla perdita di ogni sentimentalismo sincero.

Trasmettere il tripudio benefico delle emozioni provocate dai passi di danza è una dura prova per lo spettatore. Sarebbe impossibile non confrontarsi con la parola ‘spettacolo’ per esprimere le venature poetiche di così tanta sinergia proveniente dal lavoro di gruppo. La scenografia, di Aldo Buti, risulta essere percorsa da un valente lustro regale, diramatosi lungo tutti gli interni del palazzo, cromaticamente caldo e armonico. Il palco è inebriato dal candore luminescente di una sala principesca con in alto affissi lampadari imponenti che danno luce attraverso bagliori esaltanti.

Quando si abbassano le luci, messe in azione da Vinicio Cheli; lo scorcio sullo spazio chiuso apre le porte trasformandosi in un bosco cupo, all’aria aperta si respira una minore dose di spensieratezza. La melodia e le coreografie si infervorano per restituire il presagio sospettoso e misterioso della notte. Sull’enorme sfondo è visibile l’immagine accurata del lago, le cui onde regalano l’effetto di una distesa di acqua distensiva e in continuo avanzamento, come il cambio di prospettiva repentino del prosieguo della storia. La trama diventa articolata nelle dinamiche relazionali fra i protagonisti ma interpretata con ancora più leggiadria nelle movenze. Negli atti terzo e quarto c’è un evidente salto qualitativo che si riscontra dallo scrupoloso allineamento a schiera dei cigni, nonostante la lieve imprecisione nel mantenimento delle distanze delle ballerine, visibilmente notevole dalla platea. Differentemente, le posizioni sceniche si delineano toccando i vertici dell’equilibrio.

Così come la prorompente scioltezza del corpo di ballo abbaglia lo spettatore, anche i costumi lasciano senza fiato; in particolare il bianco evanescente dei gonnellini di tulle che simboleggiano i cigni. Si predispone una metamorfosi celestiale che vede la fusione dell’essere umano con l’animale, data dalla grazia assoluta della gestualità delle sagome. Si intercorre nell’apparizione di figure mistiche, non propriamente corrispondenti a nessuna delle due specie, ma piuttosto espressione di una realtà a sé stante, per nulla classificabile in una categoria univoca. La purezza dei tessuti che ricoprono i rosei incarnati agevola la fluidità dell’opera, rendendo disinibiti gli sguardi d’intesa fra le ballerine e i ballerini in perenne ricerca dell’attenzione e della fisionomia dell’altro per poterne trarre la pervasiva voglia di incantare. Lo riescono a fare, seppur sforniti delle emissioni verbali, tipiche della teatralità e della prosa classica e attuale. 

Foto di Fabrizio Sansoni

Riconciliandosi con il mondo della fantasia, non si riesce più a riscontrare finzione nell’opera, lontana dal riassumersi in una forma di intrattenimento, ma strutturandosi come parte fondante di ciò che è reale. L’artisticità che erompe da ‘Il lago dei cigni’, ha pochissimi rivali su scala mondiale e si configura in una rappresentazione tendente all’immenso.

Il lago dei cigni – Allestimento: Teatro dell’Opera di Roma – Direttore: Koen Kessels – Coreografia: Benjamin Pech – Scene e Costumi: Aldo Buti – Luci: Vinicio Cheli – Interpreti principali:
Odette/Odile: Rebecca Bianchi 19, 21, 23 / Alessandra Amato 20 (e 18) / Marianna Suriano 22 (ore 15) e 26 / Fumi Kaneko 22 (ore 20), 25 e 27 – Principe Siegfried: Alessio Rezza 19, 21 e 23 / Claudio Cocino 20 (e 18) / Michele Satriano 22 (ore 15) e 26 / Vadim Muntagirov 22 (ore 20), 25 e 27 – Benno: Mattia Tortora 19, 21, 23, 26 / Walter Maimone 20, 22 (ore 15) (e 18) Alessio Rezza 22 (ore 20) 25 e 27 – Orchestra, etoiles, primi ballerini, solisti e corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma – Allestimento Teatro dell’Opera di Roma