Quel giorno a Roma. Tonino Pinto ricorda Robin Williams.

Quarta Parete con un bell’articolo di qualche giorno fa di Leonardo Campara, ha ricordato a otto anni dalla scomparsa l’attore americano Robin Williams, uno dei più grandi interpreti del cinema nella Hollywood del dopoguerra.

Un grande talento artistico costruito con la forza di un vulcano attraverso ruoli solo apparentemente comici, quanto poi rivelare un’esplosione innovativa di coinvolgente drammaticità, garanzia di un successo straordinario illuminato da un Oscar e tre nominations. 

Una recitazione profonda, accompagnata da un’appassionante, colta e preziosa ironia, capace di esprimere amore, come i clown nel circo. Si è vero sono già passati otto anni dalla tragica notizia della sua morte che sconvolse tutto il mondo del cinema.

«Ricordiamo, quanto sei stato con noi incredibilmente gentile e gioioso», hanno scritto i figli.  La sua vita stessa è stata un film, la gavetta come stand up comedian, il successo in TV, i trionfi al cinema e poi all’improvviso il buio dentro. Al pubblico e persino agli amici intimi, sembrava essere felice, ottimista e divertente, tutte cose per cui valeva la pena vivere. Ma dietro il personaggio pubblico che conoscevamo e amavamo, sappiamo che aveva combattuto la dipendenza da alcol e droghe e poi la battaglia più difficile, quella contro la depressione.

Dotato di una comicità descrittiva e fulminante, la prima volta che l’ho incontrato e’ stato in occasione dell’uscita sul grande schermo di Good Morning Vietnam.

Radio 2 Rai aveva allestito uno studio in un gazebo sulla terrazza dell’hotel Excelsior alla Mostra del Cinema al Lido di Venezia, dove il film veniva presentato in anteprima mondiale. Lasciavo per una volta il ruolo di inviato televisivo e vestito quello di cronista radiofonico, anche se poi visto l’andirivieni di attori al mio microfono, il Direttore del Tg3 Sandro Curzi mi piazzò davanti al gazebo una telecamera fissa per seguire uno dei maggiori eventi cinematografici del mondo. Con me direttamente dagli studi Rai di via Asiago un tecnico regista che di volta in volta apriva i collegamenti in diretta con Roma e con il mondo.

Un via vai di attori, attrici, registi e soprattutto quel giorno tanta atteso per Robin Williams, protagonista di un film che sembrava tagliato apposta per quell’occasione. La pellicola diretta da Barry Levinson, che aveva già lavorato con Williams in L’uomo dell’anno, raccontava dello scatenato deejay, l’aviere Adrien Cronauer della radio dell’esercito americano che apriva al grido di “Good morning Vietnam”,   le sue trasmissioni musicali e di news in diretta da Saigon con l’intento di alleviare lo spirito delle truppe statunitensi impegnate nella guerra del Vietnam.

Era tutto perfetto e non vedevo l’ora che arrivasse se non che proprio mentre lo accompagnavano l’ufficio stampa e gli addetti ai lavori sulla terrazza, un violento nubifragio bloccò tutto e tutti.

Non ci perdemmo d’animo e con l’aiuto del tecnico, del press agent e soprattutto dello stesso Robin Williams, spostati i microfoni, la consolle e le cuffie, ci spostammo all’interno del bar adiacente alla terrazza, fra la curiosità di tutti soprattutto dei fotoreporter presi in contropiede.

Microfonati e “scomodamente” seduti su uno striminzito divanetto andammo in onda con Robin che aprì con quel grido che portò al successo il film ma anche la mia trasmissione: “Good morning Vietnam”.

Tempo dopo, editando uno dei miei documentari per la Rai, questa volta dedicato alla Hollywood degli italiani: Coppola, Scorsese, Travolta,  Tarantino, Pacino, De Niro, etc., mi ritrovai a intervistarlo  nuovamente  dopo Venezia. Seduto di fronte a me come si usa nei janket, lui sorridente, inquadrato dalle telecamere questa volta credo per l’uscita del film La leggenda del re pescatore, all’interno di una elegante suite dell‘Hotel Hassler a Roma a Trinità dei Monti, proprio di fronte alla celebre scalinata che porta a piazza di Spagna. Lui che la mattina presto era uscito dall’hotel per una passeggiata in incognito, prese a raccontarmi accompagnato da una travolgente mimica, l’emozione che aveva provato ammirando Roma ed allora gli dissi che stavo dedicando un documentario proprio a quella Hollywood degli Italiani che lui conosceva bene. Non gli chiesi nulla, fu lui che subito iniziò dicendomi: «Si conosco molti di loro, sono adorabili ma non sanno cucinare e non parlano bene l’italiano.  «Gli unici sono forse Scorsese e De Niro che è stato tanto tempo a Roma con Sergio Leone quando hanno girato C’era una volta in America. Posso provare ad imitare con la voce ed i gesti un napoletano.» 

Fu così che Robin Williams cominciò un vero show fra stupore generale soprattutto del cameraman alle cui spalle applaudiva una folla di imbucati come fossimo a teatro.

«Gli astri, pur bellissimi, misteriosi, irraggiungibili», ha scritto il critico del New York Times Dave Itzkoff dedicando un libro a Robin Williams, «hanno una loro vita: nascono, esplodono, poi muoiono. E quello che vediamo da qui, spesso, non è che l’ultimo bagliore prima che tornino ad essere polvere infinitesimale. Lassù, persi nella volta celeste, tra gli Dei, gli eroi, i miti immortali.»

Ancora oggi, come feci il giorno che i telegiornali annunciarono la sua scomparsa, rivedo quelle immagini ricordando la generosità umana di un grande attore ma soprattutto di un grande uomo.

Fra i tanti film il mio preferito è Il mondo secondo Garp, un film girato esattamente 40 anni fa, diretto da George Roy Hill con Robin Williams al suo debutto in un ruolo non comico accanto a Glenn Close.

Il film tratto da un romanzo di John Irving racconta la storia del giovane Garp aspirante scrittore alle prese con problemi edipici con la mamma, accanita femminista che, ai suoi tempi, “violentò” un pilota (il papà di Garp) e allevò il figlio a modo suo. Un film attuale dove emerge una fitta coltre di estremismi, pregiudizi e intolleranze sociali che rivela ancora oggi  le contraddizioni dell’America di fronte alle problematiche della liberazione sessuale.