Irène Némirovsky e il potere della debolezza: la recensione

Unesistenza fatta di perseveranza e speranza, per cercare di reagire a un mondo di violente logiche maschili, nel tentativo di difendere la sua e la nostra libertà di parola. Irène Némirovsky è prima di tutto unartista, apolide ma con una patria incisa nellanima: la Francia, Parigi.

Irène Némirovsky è lincarnazione icastica dellambiguità. La sua parabola sorge dalle sontuose ceneri di un passato Ottocentesco altolocato, benestante e rigidissimo, passando per la scoperta della propria sessualità, di un mondo bohémien e altrettanto decadente, annidato tra i salotti parigini, fino ad arrivare al più oscuro e ripugnante dei “segreti” occidentali: Auschwitz. Si tratta di un personaggio indubbiamente controverso, le cui scelte politiche e la critica svolta nei confronti della comunità ebraica – di cui si è, ciononostante, circondata per tutta la vita – hanno contribuito, insieme al suo genere e alla detenzione, a far scivolare la sua produzione letteraria nel dimenticatoio.

Mentre in questi giorni sentiamo invocare a gran voce il valore del coraggio, questo spettacolo, diretto da Carlo Emilio Lerici e interpretato da Francesca Bianco (nei panni di Némirovsky), ha il grande merito di mostrarci come quest’ultimo sia intimamente legato a un aspetto ulteriore della natura umana: l’ingenuità. Due caratteriste che, qualora fossero connesse all’ambito della politica, sembrerebbero assolutamente inconciliabili e che, forse, è lecito avvicinare esclusivamente in un discorso legato ai sentimenti, alla letteratura, a questioni, per certi versi, care solo al genere femminile o agli artisti, ovvero a delle figure poste spesso ai margini della società civile.

Ma forse, nell’attenzione matematica (e quasi cinematografica) verso il movimento più impercettibile, nella grazia modesta con cui si cadenza ogni parola, nel ricordo penetrante di ogni momento cruciale della propria esistenza e nella solitudine più acuta, la potente sinergia tra attrice e regista fa strada a un vero sentimento di riscoperta della natura umana. E’ qui messo in scena il potere della debolezza, qualcosa che troppo spesso si dimentica o che, in alternativa, con una certa aria di disprezzo e superbia pietistica, si cerca di gestire dall’alto. Il potere della debolezza è piuttosto qualcosa di effettivo e spaventosamente concreto, che riscopriamo nelle immagini mentali della Némirovsky prigioniera ad Auschwitz, mentre vede in lontananza fuggire le sue figlie, scampate per miracolo, trascinarsi dietro, in una valigia, la sua eredità. Se non fosse stato per la sua fama, ma anche per la sua cordiale apertura all’altro, Irène non avrebbe potuto salvare le sue figlie, né loro avrebbero potuto salvare la sua memoria, ovvero uno dei più grandi successi editoriali degli ultimi decenni: Suite française.

Lo spettacolo ripercorre i momenti salienti della vita dellautrice, in modo abbastanza tradizionale, connettendo gli episodi attraverso analogie evocative, tratte dalla sua biografia e dalla sua produzione, giustapponendoli come in uno stato di alterazione onirica, in cui la potenza della ragione si confonde con la confusione della notte. Il linguaggio teatrale si piega efficacemente all’esigenza telematica di fruizione in streaming, guardando a una modalità più cinematografica di messa in scena, in cui, tuttavia, la commistione di stili, più che raggiungere il pieno coinvolgimento emotivo, sembra avere un risvolto descrittivo e pedagogico, che non sempre è possibile conciliare con il gusto  dello/a spettatore/trice.

Irène Némirovsky” di Alberto Bassetti e Massimo Vincenzi, con Francesca Bianco, musiche Francesco Verdinelli e regia Carlo Emilio Lerici, una produzione Teatro Belli. Andato in scena in streaming dal 27 al 31 gennaio dal Teatro Belli.