Daniele Pecci, debutta sul palco del Teatro Parioli con “Divagazioni e delizie”, un ritratto intimo e profondo dell’ultimo Oscar Wilde scritto da John Gay.
Confrontarsi con l’interpretazione magistrale di Romolo Valli del 1978, nei panni di Oscar Wilde (alias Sebastian Melmoth) non è di certo impresa da poco. Tuttavia, Daniele Pecci – qui in veste di interprete e regista – offre una performance attoriale di notevole spessore.
Mentre nel testo originale, un Wilde ormai affaticato, appesantito e malato si esibisce a sipario chiuso, direttamente sulla ribalta, di fronte ad un pubblico scalcinato e pressoché indifferente (una situazione non lontana da quella reale, con un auditorio piuttosto sparuto); la regia di Daniele Pecci opta per uno spazio scenico essenziale, con pochi elementi: un pianoforte, un grammofono le cui sporadiche melodie accompagnano frammenti di ricordi; un tavolino adornato con una tovaglia, alcuni volumi – naturalmente dell’artista – e l’immancabile bottiglia d’assenzio; sullo sfondo, lateralmente, un groviglio di sedie accatastate. Qui, le tonalità scure della scena, creano un’atmosfera decadente sottolineando il senso di declino, sofferenza e malinconia che permea l’intero monologo e durante il quale un gioco drammaturgico delle luci accompagna il variare degli stati emotivi. Una sorta di conferenza autobiografica; lectio magistralis, se vogliamo – a volte interrotta da qualche piccolo, discreto happening.
Quello che ci viene restituito è un ritratto intimo e profondo di Oscar Wilde; la sua essenza; il suo trasfigurarsi nell’arte. Un uomo che ha fatto della sua vita un’arte e dell’arte la sua vita. Così, il sarcasmo e l’ironia pungente (prima parte) si intrecciano con il ricordo di un passato glorioso, di un genio che splendeva tra i fasti di un’epoca che sembrava invincibile, ma che il tempo e le convenzioni hanno finito per schiacciare. Ed è qui (seconda parte) che, il flusso dialogico attinge alle pagine del De Profundis ricomponendo il mosaico di un’esistenza alla fine segnata dalla prigionia, dall’amore perduto e dalla malattia. Una discesa negli abissi della malinconia e della sofferenza; un’esplorazione di una decadenza non solo fisica ma più intimamente profonda: l’eco lontana di un sé intriso di fragilità e umanità.
La “conferenza” diventa, così, non solo occasione per ritrarre la complessa e poetica personalità dello scrittore; ma anche una feroce critica alla società di allora (non poi così diversa da quella di oggi); la stessa che Wilde sfidò con il suo anticonvenzionalismo, la sua avversione per i moralismi e il suo spiccato estetismo. Quello che ne viene dipinto, pertanto, è un Wilde autentico, capace di un umorismo garbato e di un cinismo elegante, senza mai rinunciare alla sua natura di uomo e artista libero. Un’esistenza, la sua, vissuta come un atto di resistenza e un inno alla bellezza eterna.
Purtroppo, nonostante la bravura interpretativa di Daniele Pecci, che ha saputo delineare con eleganza e profondità la figura complessa di Wilde, l’intera pièce sembrava mancare di ritmo. Forse per scelte registiche non pienamente idonee? O forse, un ritmo stagnante attribuibile alla scarsa partecipazione dell’auditorio, la cui energia – spesso decisiva nel creare un ponte tra scena e platea – appariva ridotta al minimo? Un interrogativo, questo, che pur non sminuendo il valore della performance lascia però il dubbio su quanto un coinvolgimento maggiore avrebbe potuto valorizzare ulteriormente la messinscena.
__________________________________________________
Divagazioni e delizie di John Gay con Daniele Pecci – Traduzione e regia, Daniele Pecci. Assistente alla regia, Raffaele Latagliata. Costumi, Alessandro Lai. Musiche originali, Patrizio Maria D’Artista. Teatro Parioli, dall’11 al 22 dicembre 2024.