Il nuovo film prodotto da Apple Studios si prende gioco delle teorie che screditano il potere dell’America per tentare di riaffermare una supremazia geopolitica sempre più in crisi.
Nell’era del complottismo, in cui grazie alla rete qualunque cosa può essere messa in discussione grazie alla disinformazione che vi scorre, mentre la tensione tra Oriente e Occidente cresce con la minaccia della Russia alla NATO che manda echi della guerra fredda, gli studios hollywoodiani rispondono riaffermando la superiorità degli Stai Uniti con Fly me to the Moon, un film sulla loro più grande, e allo stesso tempo messa in dubbio, conquista antropologica che possiamo definire di propaganda a tutti gli effetti.
Quale evento migliore da ricordare se non il più grande trionfo americano sulla Russia (allora Unione Sovietica) se non la vittoria della corsa all’esplorazione dello spazio con l’allunaggio del 20 luglio 1969?
In un film che è commedia e dramma allo stesso tempo, con le sue buone parti di comicità e un po’ meno di dramma, lo scopo è quello di ricordare tutte quelle cose che definiscono la cultura statunitense che rendono il paese (dal loro punto di vista) superiore alla Russia.
Significativamente, la prima e più urgente cosa da ricordare è che l’America è una democrazia mentre la Russia una dittatura, proprio in un momento in cui pare sempre più chiaro che Donald Trump vincerà nuovamente le imminenti elezioni presidenziali (e incidentalmente pochi giorni fa ha anche subito un attentato).
Ma Fly me to the Moon è anche e soprattutto un film che celebra il trionfo del capitalismo, raccontando la trasformazione del lancio dell’Apollo 11 in una gigantesca operazione commerciale, largamente pubblicizzata per ottenere il consenso popolare e il sostegno dei politici e garantire così alla NASA i finanziamenti per portare a termine la missione.
Ovviamente non può mancare la componente patriottica (elemento cardine dell’identità nazionale americana) e dunque a più riprese il sacrificio dei piloti dell’Apollo 1, morti durante un’esercitazione sulla navetta mai partita per la luna, viene ricordato e celebrato. Ancora di più, il doloroso evento è reso parte della vicenda personale del protagonista, il responsabile del lancio dell’Apollo 11 Cole Davis (Channing Tatum).
La campagna marketing realizzata per pubblicizzare la missione dell’Apollo 11 non permette però agli Stati Uniti di concepire un fallimento, vista l’esposizione nazionale e mondiale ottenuta, portandoli ad organizzare un finto allunaggio girato in studio (chiamato “Progetto Artemis” con un probabile richiamo all’attuale programma della NASA) come contingenza da mandare in onda in caso qualcosa fosse andato storto nella missione.
La scelta gioca ironicamente sulle teorie che si sono susseguite negli anni sul fatto che il primo allunaggio fosse in realtà tutta una messinscena, ma ha anche il compito di svolgere una funzione assolutiva per gli Stati Uniti, suggerendo le azioni “sporche” che l’America potrebbe essere disposta a fare ma con un tono ironico che rassicura dal primo momento che non giungerà a fare. Anzi, l’America prevale sull’Unione Sovietica anche nell’universo finzionale del film non con l’inganno (prerogativa del governo russo) ma ovviamente con l’onestà.
La celebrazione dell’ottimismo e del successo americani nell’ambito dell’esplorazione dello spaziale è così manifesta che perfino il più noto show che incarna la fiducia nel futuro dell’umanità e dei viaggi spaziali viene citato dalle maglie gialle a collo alto indossate da Cole Davis, palesemente rimembranti quelle del capitano della USS Enterprise James T. Kirk.
È chiaramente Scarlett Johansson a trascinare il film, interpretando una capacissima pubblicitaria scelta dalla NASA per organizzare la campagna pubblicitaria della missione Apollo. Ovviamente, in una società maschilista e patriarcale come quella dell’epoca una donna non avrebbe mai potuto ottenere un incarico così prestigioso e qualificato, ma godendo del lusso di essere un film realizzato nella nostra epoca è possibile inventare un tale personaggio e farne la protagonista. E allora ecco i vestiti colorati e la cofana di capelli biondi che risaltano sempre negli ambienti formali della NASA e i colori scuri dominanti.
L’importante è che la pubblicitaria continui a rappresentare i sani principi americani che la pellicola intende pubblicizzare alla sua volta: dietro le azioni scorrette allo scopo di raggiungere i propri obiettivi si nasconde comunque lo spirito d’intraprendenza americana. Tutto giustificato ovviamente (se il termine non fosse ancora stato utilizzato abbastanza nel corso della recensione) grazie al ravvedimento finale.
In definitiva ciò che lo spettatore si troverà a vedere è la tipica commediola romantica americana. Anche in questo si tratta di un film di propaganda.
Fly me to the Moon – Diretto da Greg Berlanti – Con Scarlett Johansson, Channing Tatum, Jim Rash, Jay Romano, Woody Harrelson, Anna Garcia, Donald Elise Watkins, Noah Robbins, Colin Woodell, Christian Zuber, Nick Dillenburg – Anno 2024