Dalla seconda chiusura dei teatri avvenuta lo scorso 26 ottobre 2020, tra lo sgomento generale degli addetti ai lavori e chi invece appoggiava l’ultimo DPCM per limitare i contagi del coronavirus, i teatri di tutta Italia si sono attivati per far sì che l’Arte non restasse ferma a guardare. C’è chi ha fatto diventare la sala un set cinematografico, chi ha voluto raccontare il teatro di questo periodo storico attraverso i documentari, chi ha fatto della “zona rossa” una pratica teatrale, vedendo il momento come una sorta di maggese creativo per spettacoli futuri. Infine c’è chi ha visto nello streaming l’unico mezzo per mantenere un contatto con il pubblico. Fra coloro che hanno adottato quest’ultima soluzione c’è il Teatro Diana di Napoli che ha deciso di mettere in cartellone alcuni spettacoli distribuiti appunto in streaming.
Il teatro arriva dunque a casa del pubblico, comodamente seduto in poltrona, pronto a fruire dello spettacolo proprio come si fa per le serie tv su Netflix o Amazon.
Vi sarebbero non poche problematiche al riguardo, soprattutto se non si dispone di una buona connessione internet. Per non parlare della spersonalizzazione dell’esperienza teatrale che, di fatto, è un’esperienza collettiva durante la quale il respiro del pubblico e quello degli attori in scena diventano una cosa sola.
Cosa resta allora dell’esperienza? Fondamentalmente è la storia quella che sempre e comunque, con ogni mezzo, continua ad essere raccontata. Nel caso del Diana, dal 7 febbraio è disponibile in diretta streaming lo spettacolo scritto e diretto da Agostino Pannone “Čechovianamente”, un progetto under35 che vede protagonisti Elisabetta Mirra, Francesco Russo e Matteo Florio in una rilettura in lingua napoletana di due degli atti unici più famosi di Čechov: “L’orso” e “La domanda di matrimonio”.
Il progetto vuole presentarsi evidentemente con un approccio giovane a cominciare dalla riscrittura dei due testi cechoviani per opera di un regista giovane che intende riscoprire la forza drammaturgica di uno degli autori più importanti del Novecento con una messa in scena innovativa, a cominciare dalla lingua. Pannone, infatti, si serve del napoletano, una lingua diretta e popolare, ma non per questo meno chiara ai non napoletani, per raccontare due storie che in effetti sono popolari. Čechov, infatti, come molti autori russi scriveva per le masse, raccontando di personaggi del quotidiano con problemi molto vicini all’uomo comune. L’innovazione in questo caso sta proprio nella messa in scena più che nelle situazioni, dalla Russia si passa a Napoli, dai rubli alla lira ma con un look tutto napoletano.
“L’orso” racconta di una vedova inconsolabile che ha giurato di non uscire più di casa né di aver più a che fare con gli uomini; eppure la vita e il destino bussano alla sua porta nonostante la sua immobilità e lo fanno proprio nelle vesti un uomo, nello specifico un creditore del marito giunto lì per riscuotere un debito. La donna si rifiuta di pagare e la discussione sfocia in un duello ma a sorpresa l’impetuosità della donna suscita nel creditore un sentimento d’amore.
I colori di questo primo racconto sono più cupi, con una prevalenza di blu e nero per rifarsi a un clima tetro che tuttavia si illumina nel finale. Anche i costumi, qui realizzati da Nunzia Russo, vogliono raccontare proprio un’atmosfera oscura e profonda, rivolta maggiormente all’aspetto introspettivo della storia.
I tre interpreti, Mirra (nei panni della vedova), Florio (in quelli del suo cameriere) e Russo (nei panni del creditore) danno freschezza alla messa in scena con un’interpretazione giusta rispetto ai personaggi, senza perdere mai il ritmo.
“La proposta di matrimonio” come si evince dal titolo, narra invece, nella versione originale, di Ivan che arriva a casa della famiglia Chubukov per chiedere la mano di Natalya, figlia dell’anziano Stepan, il quale concede la sua benedizione dichiarando che lo ama già come un figlio. Il vecchio quindi va a prendere sua figlia, assicurando al giovane che Natalya accetterà gentilmente la proposta. Tutto sembra andare bene quando Natalya entra per la prima volta nella stanza. Discutono piacevolmente del tempo e dell’agricoltura. Ivan tenta di sollevare l’argomento del matrimonio ma prendendo la questione molto alla larga inizia a parlare delle proprietà delle rispettive famiglie. Quando parla del suo passato, menziona la proprietà della sua famiglia di Oxen Meadows. Natalya interrompe la conversazione per chiarire. Crede che la sua famiglia abbia sempre posseduto i prati, e questo disaccordo accende un dibattito caustico, che fa infiammare gli animi e il cuore di Ivan, piuttosto ansioso, palpita. Dopo che si sono urlati addosso, Ivan ha le vertigini e cerca di calmarsi e di riportare l’argomento al matrimonio, solo per immergersi di nuovo nella discussione. Il padre di Natalya si unisce alla battaglia, schierandosi con sua figlia e chiedendo con rabbia che Ivan se ne vada subito. Non appena Ivan se ne va, Stepan rivela che il giovane ha pianificato di fare la proposta a Natalya. Scioccata e apparentemente desiderosa di sposarsi, Natalya insiste affinché suo padre lo riporti indietro. Una volta che Ivan è tornato, cerca di piegare l’argomento verso il romanticismo. Tuttavia, invece di discutere di matrimonio, iniziano a discutere su quale dei loro cani sia il cane migliore. Questo argomento apparentemente innocuo sfocia in un’altra accesa discussione. Alla fine, il cuore di Ivan non ce la fa più e cade a terra morto. Almeno questo è ciò che Stepan e Natalya credono per un momento. Fortunatamente Ivan esce dal suo incantesimo di svenimento e riacquista i sensi abbastanza da poterlo proporre a Natalya. Lei accetta, ma prima che cali il sipario, tornano alla loro vecchia discussione su chi possiede il cane migliore.
Ancora una volta la discussione, il litigio e in generale il conflitto tra uomo e donna che sfociano poi nella passione sono al centro della messa in scena. Anche in questo caso Pannone si è tenuto fedele alla trama originaria, rinfrescandola come si è detto con una recitazione più comica e dinamica portata avanti dalla lingua napoletana e in questo caso da elementi di scena e costumi più colorati, dai toni accesi, decisamente più lontani dal precedente atto unico. Tutto ciò perché la seconda storia si basa su presupposti differenti e dall’alta borghesia del primo racconto passa a un contesto agricolo e più popolare.
In generale entrambi gli atti unici appaiono omogenei nella resa finale risultando efficaci come un buon prodotto di intrattenimento.
Nell’attesa di poter tornare in sala e vivere in presenza lavori giovani come questo, apprezzandone anche meglio la messa in scena in generale, sarà possibile vedere la replica di Cechovianamente, sempre in streaming il 10 – 13 – 14- 16-17 e 19 febbraio sul sito del teatro Diana grazie al supporto tecnico dell’agenzia Azzurro Service.