Matthew Modine presenta al Lucca Film Festival The Martini Shot
Tra i numerosi ospiti che si sono avvicendati nel corso del Lucca Film Festival, l’attore Matthew Modine, meglio noto al grande pubblico per aver interpretato il soldato Joker in Full Metal Jacket di Stanley Kubrick, è intervenuto per presentare l’ultimo lavoro cui ha preso parte, The Martini Shot (2023), piccolo film indipendente girato in quindici giorni tra Londra e l’Irlanda. Per l’esattezza un solo giorno di riprese a Londra per le scene che prevedevano la partecipazione di John Cleese (sì, quello dei Monty Python) nel ruolo di un enigmatico medico dalla comicità surreale che non dà mai risposte chiare; e il resto in Irlanda.
Intervistato prima della proiezione, Modine parla della sua esperienza di attore e l’impatto che questa professione ha avuto nella sua vita.
Ritiene infatti questo mestiere un grande privilegio perché gli ha dato l’opportunità di viaggiare per il mondo e conoscere molti artisti. Grazie a queste esperienze ha capito che per quanto siamo diversi, nella vita siamo mossi tutti dalle stesse ambizioni: poter provvedere alle nostre famiglie e alle nostre comunità. Dunque dovremmo sempre ricorrere al dialogo per ottenere soluzioni pacifiche piuttosto che abbandonarci all’odio e lottare per risolvere le differenze.
Matthew è anche un’attivista per l’ambiente e capisce che essendo una figura pubblica che viene proiettata sugli schermi e, grazie alla televisione, entra anche nelle nostre case, ha la responsabilità di dare il buon esempio. Citando la foto della Terra scattata al di fuori del sistema solare grazie all’astronomo Carl Sagan, spiega che abbiamo una responsabilità verso il nostro pianeta perché non c’è nessun altro nell’universo che se ne prenda cura.
Inevitabile parlare di Kubrick e dell’impatto che avuto sulla sua carriera di attore, affermando di non aver mai avuto con altri registi il rapporto che aveva con lui, che è stato un maestro e un padre.
Anche Birdy (1984) è stato per Modine un film determinante, così importante che non trova le parole per descriverlo. Soprattutto perché all’epoca non venivano realizzati film di questo tipo, che trattassero di personaggi sofferenti di disturbo da stress post-traumatico a causa degli orrori vissuti in guerra.
Parlando di The Martini Shot invece sostiene si tratti di un film su come diventiamo consapevoli della nostra consapevolezza, probabilmente un’opera frustrante, poiché dopo averlo visto si finisce per porci domande le cui risposte è difficile stabilire definitivamente: chi è il protagonista? È Dio? Tutti gli altri personaggi sono morti? Si trattava di un sogno?
In effetti il racconto ha al suo centro un regista affetto da una malattia terminale che decide di girare il suo ultimo film, ma ci troviamo in un mondo completamente sotto il suo controllo, dove l’analista ha l’aspetto che decide lui, il tempo si ferma a suo piacimento e la morte non è un ostacolo nell’ingaggiare attori che prendano parte al suo lavoro finale.
Appare chiaro da un certo momento in poi che questo mondo, questi eventi, questi personaggi provengono dalla sua memoria, sono frutto della sua mente, che il film che il nostro misterioso regista desidera girare serve a elaborare il lutto dell’imminente morte. Ma tentando di prendere il controllo di tutta questa situazione e trasformarla in arte, essa gli è sfuggita di mano, perché fare arte significa vivere (anche se su questo ci sarebbe da discuterne con Pasolini).
Quando la terminalità (la malattia che significativamente non viene mai definita) diviene finalità (realizzare l’ultimo film) capiamo allora che il tema centrale della pellicola è il potere creativo di un regista e la paura che si manifesta all’approssimarsi della fine della realizzazione di un lavoro.
La morte verso cui il protagonista sta andando incontro allora non è forse quella biologica (né tantomeno quella di Dio, come proclamava Nietzsche), ma quella artistica, la fine della sua carriera, che è una morte di per sé. La conclusione dei suoi giorni creativi.
Tutti i personaggi che incontriamo sarebbero allora piuttosto riflessi di sé stesso, proiezioni della sua personalità. Senza voler fare paragoni azzardati, verrebbe da dire che si tratti in qualche modo di un film alla 8 ½ (1963), la vicenda di un regista in crisi la cui mente cerca di venire a patti con la situazione nel solo modo che conosce, creando un mondo di finzione di origine psicanalitica che riconsideri e rielabori la sua vita.
Dopotutto, se il film si apre con la citazione di Hans Christian Andersen “La vita di ogni uomo è una favola scritta dalle dita di Dio”, che ci parla del potere creativo di un regista (di fatto il deus ex machina della vita dei suoi personaggi), esso si chiude su quella di Renoir “Un regista nella sua vita realizza un solo film. Poi lo fa a pezzi e lo rifa da capo”. E quale film è più intenso, emozionante e unico della vita stessa?
The Martini Shot di Stephen Wallis – Con Matthew Modine, John Cleese, Derek Jacobi, Stuart Townsend, Fiona Glascott, Jason London, Morgana Robinson, Catriona Loghlin, Dermot Murphy – Anno 2023
Foto di Laura Casotti e Filippo Parisi