L’amara ironia che si cela al fondo di un incontro stravagante e inaspettato: uno spettacolo impregnato della saggezza e dell’insoddisfazione derivanti dall’età.
“Heisenberg” di Simon Stephens racconta con estrema lucidità la parabola della solitudine umana nella fase finale della nostra vita, ponendoci davanti alla domanda cruciale intorno alla possibilità di poter ancora amare. Si tratta di una danza apocalittica e frivola, che si avvita intorno al concetto di fine, un lento, un adagio in compagnia.
Lo spettacolo viene riproposto all’interno della rassegna “TREND” del 2020, pur essendo andato in scena già una prima volta nel 2015. Nel video in streaming sentiamo voci, sussulti e reazioni di ogni tipo da parte del pubblico (e si stringe il cuore a pensare che, al tempo, tutto ciò non avesse alcunché di straordinario). Così il più vecchio degli amanti, ovvero il teatro, prova ancora a tenderci la mano, per un’ultima affettuosa carezza, nell’estremo tentativo di confortarci.
Alex (Antonio Salines) e Georgie (Francesca Bianco) sono una coppia insolita, per non dire improbabile. Un macellaio settantenne e per niente interessato all’amore, affetto da un’apatia strutturale, frutto di una depressione profonda ma controllata. D’altra parte, la nevrosi di Georgie, assolutamente fuori controllo, èveicolata da una logorrea irrefrenabile. Una donna di mezza età e di bell’aspetto, ma disposta a tutto per recuperare il rapporto con il figlio. Alex sembra rappresenti un’occasione unica per lei – forse l’ultima – e pertanto decide di sedurlo maldestramente, stordendolo con parole e aneddoti. Ma il suo piano è fallace, intuibile e con effetti inaspettati. Se la concretezza, l’abitudine e la routine quasi ossessiva di Alex rappresentano la cifra strutturale del suo ancoraggio alla realtà, la leggerezza di Georgie è il frutto più evidente della sua incapacità di affrontare il dolore.
Stephens è tra gli autori più acuti e sensibili del panorama drammaturgico contemporaneo, degno erede della tradizione pinteriana, capace di far emergere, attraverso battute asciutte e senza fronzoli, il portato complessivo dei limiti dell’amore. La definirei una fallacia induttiva, qualcosa che la scienza moderna assume su di sé come limite strutturale del suo metodo d’indagine, ovvero l’impossibilità di estendere determinate affermazioni e asserzioni in maniera generale e universalizzante. Riducendo di molto questa potente riflessione scientifica, la storia di Alex e Georgie impone un grande sforzo d’immaginazione. A partire da premesse fallaci e da situazioni di grave incertezza emotiva, una volta assunti su di sé i propri limiti (non ultimo quello dell’età e di tutte le esperienze fallimentari vissute fino a quel momento), è ancora possibile abbandonarsi all’altro?
L’apertura è aprogettuale, ci si rende disponibili all’altro solo a patto che non si abbiano realmente aspettative sul futuro. Qualcosa che, a partire da un confronto profondo con la scienza, risulta apparentemente impossibile. Eppure, si ricorda spesso come le grandi scoperte della storia, che siano scientifiche, geografiche o archeologiche, siano state spesso realizzate in maniera del tutto casuale e inaspettata: proprio questa è la sfida di fronte a cui ci pone “Heisenberg”. Ma per rendere davvero possibili rivelazioni di questa portata è necessario tenere a mente che la fallacia non è da ricercare nelle cose stesse, bensì nei nostri occhi: è inscritta nel nostro individuale punto di vista, che tuttavia rimane sempre mobile e determinato dagli eventi interiori ed esteriori, che contraddistinguono la nostra vita.
“Heisenberg” di Simon Stephens, traduzione e adattamento Carlo Emilio Lerici, con Antonio Salines e Francesca Bianco, regia Carlo Emilio Lerici, una produzione Teatro Belli è andato in scena dal dal 26 al 29 novembre in streaming.