(NON) ANDRÀ TUTTO BENE
Teatro in streaming: istruzioni per l’uso
1. Buio pesto nella stanza.
2. Il silenzio, il silenzio è importante. Liberatevi di tutti i vostri dispositivi tecnologici, di ogni legame immediato con il mondo.
3. Mangiare sarebbe sconsigliato, ma un “bicchierino” è sempre lecito…
4. Per tutti i fumatori: se siete potenziali piromani non è colpa nostra!
5. Alla fine di tutta questa esperienza (un po’ alienante) tenete sotto mano il numero di qualcuno che vi vuole bene. Avrete bisogno di parlarne.
La storia di Mouthpiece di Kieran Hurley porta in scena, in modo straordinariamente convincente, la crisi attuale. Un testo che mette profondamente in discussione le libertà proprie della drammaturgia: al centro della scena sta un serio esame collettivo e individuale sulle responsabilità legate all’autorialità.
Libby (Cecilia Di Giuli) è una drammaturga fallita, a metà tra una “sciocca” Madame Bovary e un demiurgo malvagio. Declan (Edoardo Purgatori) come reietto-genio di periferia è un incrocio convincente e commovente tra un giovane pittore ribelle, uno schivo e sarcastico Zerocalcare e, con tutto il peso interiore che ne consegue, Stefano Cucchi.
Il motto dello spettacolo, che si snoda in un quanto mai intimo e segreto dialogo tra i due personaggi, fa sarcasticamente eco a un’espressione arcinota: il nostro governo ci rassicura, perché “andrà tutto bene”. Ma non è così e ormai la verità è lampante. Non si tratta di polemiche sterili, quanto piuttosto di farsi carico di responsabilità importanti.
Si tratta della XIX edizione di Trend. Nuove frontiere della scena britannica e ormai abbiamo imparato a conoscere la cifra stilistica della rassegna, incentrata sulla drammaturgia contemporanea di matrice anglosassone: abbiamo imparato ad assumerci il peso di un sentimento di crisi generazionale ed esistenziale. Grava su di noi, in maniera crudele quanto commovente, una drammaturgia senza fronzoli, senza illusioni e senza speranze. Eppure, nel nuovo scenario surreale (e in differita) a cui siamo costretti, veniamo privati di una caratteristica fondamentale di questo doloroso processo catartico: la carnalità.
Quando uno spettacolo risulta convincente e appassionante non capita anche a voi di pensare – più o meno verso la metà – quanto sarà bello restituire tutta l’energia donataci dagli/le interpreti con un applauso finale? Ecco, appunto. Vi assicuro che, in questa situazione, i saluti non sembrano un’esperienza piacevole per nessuno. Così, alla fine della storia di Libby e Declan, dopo che l’autrice si è appropriata pubblicamente di vicende non sue, il “botta e risposta” tra lei e il pubblico diviene cruciale. Tutta la rabbia e la fragilità di Declan sono esposte. Il teatro è un evento, ma non esclusivamente in senso mondano. Si tratta piuttosto di un evento irripetibile – come irripetibili sono i piccoli errori umani – che non può essere messo in pausa. Ergersi ad autori di una storia significa nondimeno, in questo intento di profonda “ri-traduzione”, compiere dei “salti” importanti rispetto agli eventi del reale e interromperne il naturale processo. In modo analogo, assistere ad uno spettacolo in streaming prelude alla terrificante eventualità di mettere in pausa l’arte.
Il discorso segreto tra Declan e Libby è una confessione: forse ciò che più intimamente coglie il senso nascosto della nostra idea di amore, senza però imporne un’immagine codificata, realistica o socialmente accettabile. Le parole sono il mezzo prescelto dalla regia (Maurizio Mario Pepe) per veicolare questo messaggio intimo, ma non nel loro senso strettamente verbale e razionale, bensì in un’accezione visuale: ciò che “io e te” ci diciamo, al di là del tempo, costituisce il nucleo più autentico della nostra relazione, in quanto canale aperto delle nostre anime a confronto, in quanto pericolosa scintilla del conflitto. Tra “noi”e “loro” oltre lo schermo, a dispetto di ciò che l’illusione prodotta dal mezzo virtuale induce quotidianamente a credere, c’è uno spazio infinito e astratto, di cui non vediamo più nettamente i contorni. Abbiamo bisogno ancora di un segno che testimoni la sopravvivenza di quest’arte, di simboli tipicamente teatrali semplici e diretti (come un leggìo) che siano capaci di parlare “faccia a faccia” con lo spettatore, anche quando dello spettatore in carne e ossa non rimarrà che un vago ricordo.
Mouthpiece di Kieran Hurley (trad. Natalia di Giammarco) una produzione Khora.Teatro / Compagnia Mauri-Sturno in collaborazione con La Forma dell’Acquasarà, con Cecilia Di Giuli ed Edoardo Purgatori e mise en espacea cura di Maurizio Mario Pepe sarà in scena fino al 8 novembre in streaming (https://www.teatrobelli.it/). Vi consigliamo di non perdervi questa piccola occasione per riassaporare un po’ di buon teatro.