di Alessandra Antonazzo
Il Teatro Biondo Stabile di Palermo ha trasmesso sul suo canale YouTube Cappuccetto Rosso vs Cappuccetto Rosso, sbalorditiva rivisitazione della nota favola per bambini trasformata da Emma Dante in una potentissima occasione di riflessione per il pubblico adulto.
Regista e autrice del testo, la Dante presenta al pubblico una Cappuccetto Rosso affamata e rancorosa, alla disperata caccia del proprio io. Attraverso un mix di linguaggi orali e gestuali, la bambina si addentra in un fitto bosco di temi spinosi: il rapporto con una figura materna distratta e inadeguata, l’accettazione di un corpo fuori misura, la ricerca intima e complessa della propria identità.
In scena troviamo due bambine: la protagonista, una Cappuccetto Rosso morbida e tracotante, e il suo alter ego, una Cappuccetto magra e intimorita, del tutto somigliante alla mamma così apparentemente perfetta. La prima Cappuccetto parla inglese e tedesco, bullizza la sua compagna, mostra i muscoli e fagocita tutto quel che trova. La seconda, educata e sottomessa, parla il francese e lo spagnolo.
In una sapiente commistione di lingue e linguaggi, attraverso una gestualità esasperata e ripetuta, le due protagoniste danno vita a un’ipnotica recitazione allo specchio, muovendosi all’unisono e risultando agli occhi del pubblico così uguali e differenti al tempo stesso.
“Io sono Cappuccetto Rosso”, ripetono entrambe in coro, e conducono lo spettatore a domandarsi: “Chi delle due sarà la vera Cappuccetto?”. Quella che, ubbidiente e timorosa, vuole raggiungere la nonna, o quella che usa la forza per ottenere ciò che vuole?
Cappuccetto Rosso divora ogni cosa, dalle caramelle alle focaccine, costringendo la madre a chiudere a chiave il panierino destinato alla nonna. Nulla riesce a lenire la rabbia famelica di Cappuccetto, che in uno spassoso incontro di fiabe e personaggi, mangia persino la mela avvelenata di Biancaneve e le briciole di pane di Hänsel e Gretel con i quali, in un’appassionata corrida, si lascia andare alla danza liberatoria di un corpo mai accettato.
Le due bambine, protagoniste di uno spettacolo tutto al femminile, danno voce a una spietata e fantasiosa allegoria dell’accettazione, fatta di sali-scendi vocali, sonorità pungenti e perenne movimento. Cappuccetto Rosso, nel bosco, danza col suo alter ego attraverso una narrazione dei corpi grottesca e spietata che coinvolge il pubblico nella danza sgangherata dei personaggi sulla scena.
Giunta al bivio che porta a casa della nonna, la nostra Cappuccetto è costretta a fare una scelta, obbligata ad affrontare il temuto e doloroso confronto con la madre. La donna indossa una maschera mefistofelica, si muove scattosa, come invasata, e spinge la bambina nel bosco, consapevole che il lupo potrebbe mangiarla. Sistema per bene la mantella rossa sulle spalle della piccola, parla con lei, senza mai dare autentico ascolto al suo dolore vorace.
“Ma se il lupo mi mangiasse tu saresti felice, mamma?” chiede a un tratto Cappuccetto, trascinando con sé il pubblico fino in fondo al suo dolore. Il dolore di una bambina che per essere “vista” si fa spazio nello sguardo materno divorando ogni cosa, conquistando morso dopo morso lo spazio fisico ed emotivo attraverso la costruzione goffa di una fisicità prepotente, nel tentativo vano e disperato di essere amata.
Abbandonata in fine alla sua solitudine rossa di rabbia e fame, rossa di un coraggio adulto che non le fa temere neanche il lupo, la Cappuccetto di Emma Dante perde la maschera nel bosco.
Una fiaba per adulti, quella della regista palermitana che si è più volte dedicata alla riscrittura non convenzionale delle favole. Tra i suoi lavori ricordiamo: “La bella Rosaspina addormentata”, “Anastasia Genoveffa e Cenerentola”, “Tre favole per un addio”, “Gli alti e i bassi di Biancaneve” rivisitazioni caratterizzate da un complesso lavoro di ricerca sulla diversità, sull’accettazione e sull’ampissimo spettro di emozioni e dolori che caratterizzano l’animo umano.
Con questo capolavoro pungente e realista, Emma Dante travalica il confine della fiaba e trascina lo spettatore, messo a nudo di fronte alla vorace animalità che caratterizza ognuno di noi, nel bosco scuro delle sue paure.
È vero, come afferma Cappuccetto, che c’è sempre qualcuno pronto a rubarti l’identità? E ancora, riusciremo a scovare il bambino che eravamo per amarlo e accompagnarlo, tenendolo per mano, nel bosco fitto del suo dolore? Domande dalle quali lo spettatore non riesce a liberarsi per tutta la durata dello spettacolo. Disorientato, spaventato, confuso eppure affascinato, divenuto anch’egli boccone prelibato della Cappuccetto in scena, della Cappuccetto che alberga in ognuno di noi.