di Miriam Bocchino
Un boato rompe il silenzio di una notte a L’Aquila e nei paesi limitrofi. Un rumore profondo che cambierà la vita dei suoi abitanti per sempre, segnandola con la paura, il dolore e la solitudine.
Il 6 aprile del 2009 alle ore 3.32 un terremoto di magnitudo 6.3 squassa la notte abruzzese, provocando 309 vittime, oltre 1600 feriti e 10 miliardi di danni stimati.
La vita per i suoi abitanti non sarà più la stessa.
Sono trascorsi 11 anni da quel terribile evento e per la prima volta quest’anno, a causa dell’emergenza sanitaria da Covid – 19, le commemorazioni sono state silenziose e solitarie.
Solo una luce accesa sul balcone o alla finestra per ricordare le vittime; una luce che può dissolvere il buio della notte e di un ricordo, doloroso e tetro.
Non si è svolta la consueta fiaccolata, che ogni anno si tiene nella notte tra il 5 e il 6 aprile, bensì solo una cerimonia con tre autorità: il prefetto, il sindaco de L’Aquila e il primo cittadino di un paese del cratere sismico, Francesco Di Paolo di Barisciano.
Il silenzio, in Piazza Duomo, è stato interrotto dalle parole del sindaco Pierluigi Biondi: “Il silenzio, questa notte, ha il volto di chi abbiamo perduto, ha il respiro di una umanità che lotta contro una minaccia letale, ma quasi irreale nella sua non fisicità, perché materia dei laboratori di ricerca, perché patologia da ospedali. Allora, come oggi, piangiamo la morte avvenuta in solitudine, senza la consolazione dei propri cari”.
Postmodernissimo, cinema di Perugia, durante questo periodo di emergenza, ha creato una sezione all’interno del suo sito web “DI/STANZA – FILM FUORI DALLA QUARANTENA” mettendo a disposizione alcune opere (lungometraggi, documentari, cortometraggi) da poter visionare in modo totalmente gratuito.
Tra questi vi è il documentario “HABITAT – NOTE PERSONALI” di Emiliano Dante.
L’opera è stata girata tra il 2011 ed il 2014 e si propone di fornire una fotografia della vita post – terremoto. Lo stesso regista non si limita a stare dietro la macchina da presa ma racconta la sua visione personale, l’esistenza trascorsa dopo il tragico evento.
Emiliano Dante è un abruzzese a cui il terremoto ha tolto tanto, tra cui la propria casa, costringendolo a vivere in una di quelle del “Progetto C.A.S.E.” (diciannove new town a sostituire le tendopoli disseminate a raggio attorno all’area urbana, per un totale di 4500 unità abitative).
Le nuove abitazioni non si trovano in città ma a distanza di 14 kilometri da essa e distanziate tra di loro. Sono aree in cui vige la solitudine e la costrizione a spostarsi per avere qualsiasi cosa, dai beni più primari agli incontri con gli altri.
Osserviamo nel documentario la vita dello stesso Emiliano, la sua routine quotidiana, fatta dalle passeggiate con il cane e dal suo lavoro.
“A distanza di anni sogno ancora il terremoto. Di solito è una specie di sottofondo, come ieri. Sogno di baciare una donna e mentre la bacio tutto crolla.”
Emiliano sogna spesso il terremoto e da quei sogni nasce l’esigenza di chiedere agli altri come vivono il loro presente e se loro stessi fanno il medesimo sogno.
In “HABITAT” si ascoltano le parole dei tanti amici del regista, persone conosciute durante quei terribili momenti, come Paolo, Alessio e Antonio.
“Erano giorni eroici, giorni in cui ogni cosa che facevi, anche la più piccola, voleva dire resistere. Resistere malgrado tutto”.
Non udiamo, tuttavia, un racconto di sofferenza bensì la loro vita quotidiana, fatta di problemi di coppia, di ricerca del lavoro e di decisioni sofferte ma essenziali, come quella di partire lontani dalla propria città. Sono problemi comuni ma resi ancora più complicati da ciò che li circonda: le macerie e la solitudine. Solitudine che può condurre all’alienazione, alla stasi e all’assuefazione al dolore e al silenzio.
Le immagini in bianco e nero, perché il colore per il regista appare un elemento estraneo nel racconto del post – terremoto, ricoprono un ruolo fondamentale nel documentario, così come la musica, che si insinua nelle vene, con melodie delicate ma intense, in grado di accompagnare le fotografie di una città seppellita dalle sue stesse malinconie. Appaiono sul viso dei protagonisti quelle stesse macerie esterne, di cui la città a cinque anni dal terremoto, è ancora colma.
“L’Aquila stessa è oggi un’assenza, una mancanza”.
Emiliano Dante sceglie per la sua opera un’ambientazione fredda, in cui la neve e le giornate grigie sembrano rappresentare perfettamente lo stato d’animo del regista e delle persone che intervista.
“Ognuno di noi è solo un frammento che si allontana dagli altri, l’unica forza che ci muove, e in verità molto lentamente, è l’entropia”.
Molto lentamente si muove anche il regista che sospende le riprese per poi riprenderle nel 2013. La sua casa è nuovamente cambiata, in quanto il suo vecchio appartamento è stato dichiarato inagibile e ha trovato l’amore in Valentina ma L’Aquila continua ad essere ferma, nelle tante gru che tentano di abbattere e ricostruire palazzi. L’Aquila è simulacro della vita degli intervistati che cercano di trovare un senso ad un’esistenza cambiata e da ricostruire.
“I frammenti che cercano di ricomporsi, di ricondurre l’entropia verso un flusso uniforme”.
A 11 anni dal terremoto L’Aquila continua a piangere i suoi morti, le case e le vite spezzate. La ricostruzione non è ancora terminata, le gru adornano ancora il paesaggio della capitale e dei paesi intorno.