di Alessia De Antonis
“Ho sparso i semi. Son tutti finiti in mezzo ai sassi o sotto i rovi. Solo uno è caduto in un cuore umano”. Karl Heinrich Urlichs.
È curioso, ma neanche nel movimento LGBT questo giurista, latinista e teologo, è molto conosciuto. Eppure ha dedicato la sua vita a lottare per il diritto di vivere liberamente la propria sessualità.
Leggendo la sua frase viene da chiedersi se sia stato pessimista o veggente. Pessimista perché è stata fatta molta strada per il riconoscimento dei diritti civili degli omosessuali. Veggente perché chissà se avrebbe mai immaginato che negli anni venti del ventunesimo secolo, ancora molti avrebbero visto l’omosessualità come una malattia più o meno contagiosa e avrebbero volentieri spedito tutti i non eterosessuali sulla scoperta geografica del nuovo millennio: la Terrapiatta.
Lui, però, tedesco morto a L’Aquila exul et pauper, esule e povero, che ha coniato il termine “uraniano” per indicare l’amore tra due persone dello stesso sesso, preferì il licenziamento all’ipocrisia.
Mentre nel IV secolo a.C. Platone può parlare, nel Simposio, di amore omosessuali, Ulrichs nel 1867, quando, durante il congresso dei giuristi a Monaco di Baviera, chiede una risoluzione che solleciti l’abrogazione delle leggi contro le persone omosessuali, viene fischiato e allontanato. Non prima però di riuscire a dire che alla categoria degli omosessuali: “sono appartenuti molti dei più grandi intelletti della nostra e di altre nazioni. Queste persone sono esposte ad una persecuzione legale immeritata per nessun’altra ragione che la natura sessuale opposta a quella ritenuta normale”.
In un’ottica di recupero storico,L’enigma dell’amore, andato in scena all’Off/Off Theatre fino al 19 gennaio, ha sicuramente un gran valore nel far conoscere il contributo di un uomo che tanto ha fatto per contribuire alla sconfitta dei pregiudizi e delle persecuzionirivolte alle persone considerate diverseper il proprio orientamento sessuale.
Il testo, in memoria di Karl Heinrich Urlichs, scritto da Saverio Aversa, che ne ha curato anche la regia, e Fabio Grossi è interpretato da Fabio Pasquini e Francesco Maccarinelli.
Uno spettacolo a ritroso nel tempo che parte dalla morte di Ulrich (Fabio Pasquini) avvenuta il 14 luglio 1895: nudo, coperto solo dalla bandiera rainbow, si alza, si veste e ripercorre i momenti salienti della sua vita: le sue battaglie civili, gli amori, le sconfitte, le discriminazioni.
Un testo ricco di potenzialità, che si presenta tuttavia poco empatico. Manca di quell’energia che un simile racconto dovrebbe trasmettere. Resta una serie di episodi, sicuramente ben interpretati da Pasquini, che però stenta a relazionarsi con Maccarinelli, restando troppo spesso due monadi. La resa del testo è affidata soprattutto alle capacità attoriali del primo, la cui recitazione, a volte, beneficerebbe di un maggiore sostegno del collega.
Interessante la musica di apertura “Deh vieni alla finestra” dal Don Giovanni di Mozart nella versione a cappella dei Swingle Singers, forse meno la versione dello stesso coro di “Bella Ciao” nella scena finale: è ora di liberarsi di inni eccessivamente politicizzati legati al passato, nel rispetto di un messaggio universale contenuto nelle parole dello stesso Ulrichs: «L’oppresso e il maltrattato non riconoscono alcun diritto di oppressione per pura forza, né un diritto di maltrattamento. Quindi la nostra posizione è ovunque dalla parte dell’oppresso e del maltrattato, che si chiami polacco, hannoveriano, ebreo, cattolico o che sia una creatura innocente considerata ‘spregevole’ dalla gente, perché è talmente immorale da essere nata al di fuori del vincolo coniugale, così come noi eravamo talmente immorali da essere nati con una natura urninga…».
L’enigma dell’amore è sicuramente uno spettacolo da vedere per tributare giusto onore ad un uomo libero che non merita di restare sconosciuto.
“Ho sparso i semi. Son tutti finiti in mezzo ai sassi o sotto i rovi. Solo uno è caduto in un cuore umano”. E un solo seme è quello che basta per farne nascere tanti altri.
Da segnalare la partecipazione in video di Leo Gullotta nella scena finale.