di Miriam Bocchino
Enrico Guarneri è “Mastro Don Gesualdo”. Sul palcoscenico la sua interpretazione è eccelsa e in grado di raccontare la storia, scritta da Giovanni Verga e pubblicata nel 1889, in modo coinvolgente.
Mura grigie di un palazzo imponente adornano la scena, con il loro passato di ricchezza e miseria.
“Mi manca l’aria, questa casa e questi muri mi risucchiano l’ossigeno”.
Mastro Don Gesualdo si trascina stanco, affannato e malato sul palcoscenico, attraversato da una tosse convulsa e dai ricordi di un’esistenza trascorsa nella ricerca di un posto nel mondo, da trovare tramite il lavoro e la ricchezza.
Egli ha una figlia Isabella (interpretata da Federica Breci), che come una figura nell’ombra rimane silenziosa di fronte al padre malato. Ha gli occhi freddi, gelidi e muti.
“Anche tu aspetti la mia morte”chiede Mastro Don Gesualdo ad uno dei camerieri e la risposta, anche se non arriva, si percepisce nel silenzio “parlante”.
La scena, all’improvviso, si movimenta: un incendio attraversa la casa della famiglia Trao, vicini di Mastro Don Gesualdo.
Il pubblico viene trasposto nel passato del protagonista (il salto temporale è poco evidente, avrebbe dovuto essere maggiormente palese).
La famiglia Trao, il cui incendio non provoca danni ingenti alla casa, è composta da Don Diego (Pietro Barbaro), Don Ferdinando e la sorella Bianca (Francesca Ferro). È una famiglia, che nonostante un nome altisonante e nobiliare, è caduta in disgrazia e si fa mantenere dai famigliari, tra cui dalla Baronessa Rubiera (Ileana Rigano). Quest’ultima, spinta dal prete, il Canonico Lupi (interpretato da Rosario Minardi), cercherà di convincere Bianca a sposare Mastro Don Gesualdo, divenuto uomo ricco, malgrado un’origine povera. All’apparenza farà ciò per migliorare le sorti della famiglia Trao ma la vera motivazione è la vendita di alcune terre da parte del Comune e la necessità di creare una società con Mastro Don Gesualdo per comprarle e spartirle.
Mastro Don Gesualdo accetta, nonostante la vicinanza con la sua fedele serva Diodata (Alessandra Falci) con la quale ha avuto due figli, mandati all’ospizio degli orfanelli.
“Ognuno ha il suo destino”, così si giustifica il protagonista davanti a Diodata e al mondo per le sue azioni. È un uomo rude, burbero, dalla collera imminente ma dall’animo caritatevole. Un uomo che si rende conto di ciò che lo circonda, della mancanza di amicizie vere e dello sfruttamento del suo denaro da parte di persone che si avvicinano a lui solo per scopi personali. Anche all’interno della sua famiglia, dopo il matrimonio con Bianca e la nascita di Isabella, non avrà mai affetto vero, le carezze tanto desiderate e gli abbracci onesti e sinceri.
Nonostante la sua ricchezza e il suo duro lavoro cosa ha ottenuto dalla vita?
Sul finire della stessa, forse egli si accorgerà di cosa ha perduto, a causa delle scelte compiute in nome del denaro e della ricerca di un’accettazione della sua persona, nella società, che mai otterrà.
La scenografia, le luci (meritano un plauso) e la regia sono curate bene e lo spettacolo dispiega gli anni vissuti da Mastro Don Gesualdo in modo chiaro, facendo apprezzare ancora oggi una delle opere più belle di Giovanni Verga. Un’opera che consente di osservare le sorti di un uomo che in nome della ricchezza ha perduto ogni cosa.
Lo spettacolo è in scena al Teatro Quirino fino all’8 dicembre.
Regia: Guglielmo Ferro
Interpreti: Enrico Guarneri, Ileana Rigano, Rosario Minardi, Francesca Ferro, Rosario Marco Amato, Pietro Barbaro, Giovanni Fontanarosa, Vincenzo Volo, Elisa Franco, Alessandra Falci, Federica Breci.