Al Teatro Petrolini un’opera che attraversa i secoli per raccontare la lotta dell’uomo contro la fame, l’illusione e la vergogna. Il teatro come voce di chi non ha voce.
C’è ancora spazio per il teatro dialettale nel 2024? C’è ancora bisogno di rimettere in scena i grandi classici della drammaturgia popolare come Miseria e Nobiltà? Se si ha avuto la possibilità di assistere allo spettacolo andato in scena al Teatro Petrolini di Roma, la risposta non può che essere: sì, assolutamente sì.

La Compagnia Teatrale Sogni di Scena, che ha tra i suoi membri Nino Palmeri, Simone Giulietti, Marco Gargiulo, Federica Pallozzi Lavorante, Dania Carliseppe, Barbara De Nardis, Stefania Giardinelli, Matteo Aluia, Chiara Silano, Samuele Talocci, Emanuele Grassetti, Stefano Donà, Mariangela Camedda , con la la regia sensibile e consapevole di Emilia Miscio, ha portato sul palco una versione viva, sentita, intensa della celebre commedia di Eduardo Scarpetta. Un’opera che, scritta nel 1888, riesce ancora a parlarci con sorprendente attualità. E questo non perché il testo sia stato stravolto o adattato forzatamente al presente, ma perché la regia ha scelto di restare fedele allo spirito originario dell’autore, lasciando che sia il pubblico – oggi come allora – a riconoscere, dietro il sorriso, una realtà amara.
La storia è nota: Felice Sciosciammocca, scrivano spiantato, e il suo amico Pasquale, fotografo anch’egli al limite della sopravvivenza, vengono coinvolti in un piano orchestrato da Eugenio, giovane nobile innamorato di Gemma, figlia del cuoco arricchito Don Gaetano. Il ragazzo chiede ai due di fingersi i suoi parenti aristocratici per convincere il padre della giovane a concedergli la mano della figlia. Il resto è un susseguirsi di malintesi, travestimenti, bugie svelate e ricomposte.
Ma al di là della trama comica, Miseria e Nobiltà è una radiografia della miseria umana. Non solo economica, ma anche morale, sociale, identitaria. È la storia di chi per mangiare è disposto a recitare, a fingersi ciò che non è. E in questo c’è qualcosa di straordinariamente moderno. Perché se ieri Felice e Pasquale si travestivano da nobili per sfuggire alla fame, oggi molti fanno lo stesso – metaforicamente o meno – per sfuggire alla precarietà, all’indifferenza, alla marginalità.
La performance attoriale riesce a dare profondità a questo doppio livello. Il ritmo della messa in scena è brillante, con momenti di grande ilarità, ma mai superficiale. Si ride, sì, ma con un senso di disagio che rimane sotto la pelle. Gli attori – tutti ben diretti e affiatati – non si limitano alla caricatura. Ogni personaggio porta con sé un frammento di verità, un’ombra di malinconia, una domanda aperta.
Il dialetto napoletano, cuore pulsante dell’opera, è qui trattato con rispetto e passione. Non è un “colore locale”, non è una strizzata d’occhio nostalgica. È la lingua viva di un popolo che soffre e spera, che mente per sopravvivere e sogna anche quando non ha nulla. È una lingua teatrale per eccellenza, perché sa essere musicale e spigolosa, tenera e feroce. E in questo spettacolo lo è in pieno.
La scelta di non “tradurlo” o edulcorarlo per renderlo più accessibile dimostra coraggio artistico. Chi ascolta capisce, anche se non coglie ogni parola: perché il teatro, quello vero, comunica oltre la grammatica. Comunica con i corpi, con gli sguardi, con i silenzi. E questo spettacolo lo sa fare.
Se c’è una grande forza in Miseria e Nobiltà, è quella di raccontare una tragedia collettiva con i toni di una commedia. E in questo risiede forse la lezione più potente: che dietro ogni risata facile si nasconde un sistema ingiusto, una lotta silenziosa, un dolore nascosto.
Nel 2024, anno in cui la povertà globale continua ad aumentare, in cui milioni di persone vivono ai margini in condizioni di grave disagio sociale – spesso anche nella nostra stessa città – Miseria e Nobiltà non è solo uno spettacolo teatrale. È uno specchio. Ci costringe a guardare, a interrogarci, a chiederci quante delle maschere che vediamo sul palco non siano poi così diverse da quelle che indossiamo ogni giorno.
Va detto: commedia difficile da portare in scena, per le precedenti rappresentazioni sia filmiche sia teatrali, che hanno fatto riaffiorare alla memoria degli spettatori meno giovani, sensazioni, emozioni, ricordi di interpreti del nostro grande teatro. Detto ciò, qualche incertezza non è mancata che ha un po’ spezzato il ritmo, e in alcuni momenti la recitazione è risultata un po’ sopra le righe. Il desiderio di dare intensità alle scene si è talvolta tradotto in toni troppo alti – per una sala quale quella del Teatro Petrolini dove gli spettatori sono quasi sotto palco – quasi urlati, quando magari sarebbe bastata una recitazione più pacata. Gli attori si sono mostrati appassionati e coinvolti, dando prova di grande entusiasmo e partecipazione emotiva nei vari ruoli ricoperti.

Questa pièce dimostra che il teatro d’autore, popolare e dialettale ha ancora molto da dire, soprattutto quando viene trattato con passione e intelligenza. Miseria e Nobiltà – che va ricordato ha ben più di un secolo di vita – è ancora oggi più di una rappresentazione: è un atto d’amore verso la nostra cultura, una denuncia sociale travestita da risata, un invito a non dimenticare chi siamo e da dove veniamo. E quest’amore è stato totalmente compreso ed apprezzato da tutti gli spettatori presenti, che hanno gremito la sala oltre la normale capienza, tributando un lunghissimo e ripetuto applauso a tutta la compagnia.
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Miseria e Nobiltà, di Eduardo Scarpetta, regia di Emilia Miscio, con Nino Palmeri, Simone Giulietti, Marco Gargiulo, Federica Pallozzi Lavorante, Dania Carliseppe, Barbara De Nardis, Stefania Giardinelli, Matteo Aluia, Chiara Silano, Samuele Talocci, Emanuele Grassetti, Stefano Donà, Mariangela Camedda, audio e disegno luci Giorgia Caredda, direttore di scena Simona Borrazzo, assistente di scena Syria Talocci, foto e video Riccardo Dell’Era – Teatro Petrolini dal 10 al 13 aprile 2025
Foto di ©Grazia Menna