Simona Bertozzi e Marta Ciappina portano “Quel che resta”: un incontro tra corpi che esplorano spazi e relazioni
Rimanere. Restare quando tutto sembra diverso, indefinibile, quando ogni cosa sfugge e cambia. Quando gli spazi devono essere riscoperti, riabitati per sopravvivere. Potrebbero essere questi i presupposti da cui leggere e capire la danza di Simona Bertozzi e Marta Ciappina (già presente al Comunale, l’anno scorso, con Gli anni), una performance che punta alla ricerca di una modalità alternativa di sentire e di abitare la nostra dimensione, lo spazio scenico.

È una proposta particolare, complessa, quella pensata da Simona Bertozzi con Quel che resta: la coreografia, andata in scena al Teatro Comunale di Vicenza sabato 5 aprile, all’interno del Danza in Rete Festival, è un’esplorazione delle possibilità che la danza può offrire quando intorno avanzano il cambiamento, lo svuotamento, la perdita dell’equilibrio conosciuto. Il palco è vuoto, attraversato da luci molto diverse in base al momento, soffuse e accese, penetrato da silenzi alternati a suoni, la voce fuori campo di un documentario. È un ritorno ad uno stato primordiale, l’origine naturale, la vita appare sospesa. Occorre fare ritorno, occorre riattraversare lo spazio.
La danza a due che si crea tra le interpreti è un’esplorazione costante, di spazi e di corpi, linguaggi personali che cercano di incontrarsi e di toccarsi senza prevelare l’una sull’altra. Grammatiche differenti che, incrociandosi, creano un dialogo nuovo, ricco di bellezza fisica e sensoriale. Quel che resta è sintonia delicata, mai del tutto compiuta e si sviluppa su momenti precisi, la danza si modella su di essi in base alla sensazione e alla percezione trasmesse.
I movimenti sono geometrie, astrattismi studiati e interpretati, ogni danzatrice “parla” con la sua fisicità personale: l’entrata in ciabatte, l’esordio con quel “Welcome dance”, la conoscenza, il confronto reciproco, il cambio di luci, la forza delle movenze via via più intense, e poi la lentezza, la freddezza dei led, il ritmo più sincopato, la ripresa delle ciabatte, la frontalità verso il pubblico. Ogni sezione è uno slancio verso l’indefinibile, un tocco che sfiora senza afferrare mai veramente (ecco perché la sintonia è incompiuta, viva, continua oltre e può essere approfondita sempre). Simona Bertozzi e Marta Ciappina attraversano il palcoscenico in coppia mantenendo, però, autonomia e personalità: la prima è quasi evanescente, leggera; la seconda è fisica, pratica, interpreta a proprio modo l’indagine spaziale. A legarle, però, ci pensa una risonanza sottopelle, una continuità, un fluire di azioni e sensazioni.
Entrambe si avvicinano, si sfiorano, portano avanti un dialogo fitto, fatto di ripetizioni e di sequenze concitate, il fiato nato dallo sforzo si mescola a quello dell’altra, il fumo copre le scie dei movimenti generati. Si inserisce l’audio di un documentario, le due sembrano quasi impersonare le parole, quella “riduzione degli habitat” degli ippopotami descritta dalla voce. Resistere, però, significa fare tesoro di ciò che è stato per poter dare una svolta. Cala una luce fredda, risuonano i titoli di alcune canzoni pop (“Like a Virgin”, I love Chopin”, “Billy Jean”, “Pensiero stupendo” …); sono i resti di un passato personale che c’è comunque e resiste nel ritornello, nel ricordo, nell’emozione. La danza diventa poi circolare, un cercarsi continuo, un susseguirsi di movimenti che cede il passo all’orizzontalità delicata, a simmetrie particolari scandite dalle note di Stravinskij.
Tornano di nuovo il silenzio, un elemento centrale dello spettacolo, e quel respiro frutto di un lavoro fisico incredibile, gli occhi si incontrano: lo sguardo è toccante, nel vero senso della parola, un tocco di bellezza, conoscenza, condivisione, esperienza. Simona Bertozzi e Marta Ciappina si rimettono le ciabatte, tornano sul fondo, prendono due rami di foglie verdi e la luce, per la prima volta, avvolge solo loro due, frontalmente. Si congedano così al pubblico, scuotendo questi rametti, l’esito di una ricerca, di un incontro, di un’esplorazione vissuta in modo sia personale ma anche in unione, tra loro e con il pubblico.

Quel che resta racchiude un senso indecifrabile, è frutto di un lavoro molto personale che lo rende complesso, ricco di tecnica e di quei particolari di cui solo le interpreti sanno dare provenienza e spiegazione. È interessante, però, la sua visione: bellezza e potenza, resistenza, sperimentazione, grande studio e tecnicità portano a intravedere delle possibilità alternative, quel rimanere che apre a nuove, inedite possibilità di essere ed esserci nello stare qui, nel presente.
Quel che resta – concept e coreografia Simona Bertozzi – danza Marta Ciappina, Simona Bertozzi- musica Roberto Passuti, Igor’ Fedorovič Stravinskij- soundscape Roberto Passuti (con un estratto dal documentario Big Animals survival strategies) – light design Giuseppe Filipponio – produzione Nexus 2021 – esecuzione luci Lucia Ferrero – con il contributo di MiC Regione Emilia – Romagna (Comune di Bologna) – con il sostegno di Centro Nazionale di Produzione della Danza Viriglio Sieni e di Fondazione CR Firenze – residenze creative nell’ambito di Residenze per artisti nei Territori a cura di Masque teatro, Artists in Residensì Bologna – in collaborazione con Dialoghi – Residenze delle Arti Performative a Villa Manin 2021, CSS Teatro stabile di innovazione del FVG, AlmaStudios Bologna – Teatro Comunale di Vicenza 5 aprile 2025
Immagine di copertina / in evidenza: Ph. Luca Del Pia