Anna Achmátova, la poetessa dal carisma rivoluzionario

Al Centro Russo di Scienza e Cultura di Roma omaggio a una delle artiste più importanti del primo Novecento

La musa

Quando la notte attendo il suo arrivo,
la vita sembra sia appesa a un filo.
Che cosa sono onori, libertà, giovinezza
di fronte all’ospite dolce
col flauto nella mano? Ed ecco è entrata.
Levato il velo, mi guarda attentamente.
Le chiedo: “Dettasti a Dante tu
le pagine dell’Inferno?” Risponde: “Io”.

(Anna Achmátova, 1924)

Il Maestro M. Skogorex, Elisaveta Smirnova, Maria Smirnova e Natalya Simonova

La Russia. La cultura. Le donne. La Musica. Il Canto. La Poesia. La Poeta Anna Achmátova.

In occasione del 135° Anniversario della nascita di Anna Achmátova, venerdì 27 settembre alle ore 18,30 nel Salotto Letterario e Musicale del Centro Russo di Scienza e Cultura (Casa Russa a Roma), in Piazza Cairoli 6, si è svolta la manifestazione La presenza eterna, un suggestivo ed elegante recital musicale dedicato alla grande Poeta Anna Andréevna Achmátova, nata a Odessa, il 23 giugno 1889, e considerata tra le maggiori poetesse dell’Epoca d’Argento della Poesia in lingua russa.

L’incontro ha visto come protagoniste due cantanti liriche sanpietroburghesi di fama internazionale: il soprano Maria Smirnova che, dopo aver presentato la Achmátova, ha eseguito – sulla musica di Bibergan e Rybnikov– due appassionanti romanze dedicate alla passione fulminea e tempestosa della Achmátova per il celebre pittore italiano Amedeo Clemente Modigliani; il soprano Elizaveta Smirnova che ha cantato sempre delle romanze tratte dalle poesie della nostra Poetessa.

Le due artiste sono state accompagnate dal pianista Maxim Skogorev che ha spaziato dalle musiche del Compositore polacco Fryderyk Chopin, a quelle del Compositore e direttore d’orchestra russo Sergej Sergeevič Prokof’ev, dal compositore russo contemporaneo Alexey Rybnikov al popolare compositore sovietico e russo Vadim Davidovich Bibergan.

Nel corso della serata la splendida attrice teatrale e cinematografica, scrittrice e regista Natalya Simonova, ha letto i versi più belli della Achmátova mentre anche la Poetessa ecuadoriana ,Veronica Paredes, nota nel panorama internazionale, ha avuto l’onore di rendere omaggio alla Achmátova con la Poesia:

Le notti Bianche

Non ho chiuso la porta,
non ho acceso le candele,
non lo sai ma, per quanto fossi stanca,
non riuscivo ad andarmene più a letto.

Guardare, come si smarriscono i sentieri
dentro al bosco, all’imbrunire ormai del giorno,
ebbra del suono di una voce
che è simile alla tua.

E sapere che tutto è già perduto,
che la vita è un tremendo inferno.

Ero certa
che saresti ritornato.

(Anna Achmátova, 1911)

Sono poi intervenute – nel momento cruciale della perfomance musicale le esperte, russa e italiana, Svetlana Prasolova, vicedirettore del Museo Anna Akhmátova di San Pietroburgo – in collegamento dal Museo – e Maria Federico, presidente dell’associazione culturale Il mondo di Damarete.

Un ringraziamento esclusivo va alle organizzatrici della serata, il Direttore della Casa russa a Roma Daria Pushkova e la giornalista Elena Sotnikova.

“La presenza eterna”, per quanto mi riguarda, non appartiene soltanto alla grandissima poeta, ma a tutti gli artefici della grande Letteratura Russa che avuto il piacere di frequentare negli anni della mia formazione classica: a partire dal mio romanziere preferito Fëdor Dostoevskij, per proseguire con Lev Tolstoj, Nikolaj Gogol’, Ivan Turgenev, Ivan Gončarov, Aleksandr Puškin, Anton Čechov, Vladimir Majakovskij, Fëdor Sologub,  Maksim Gor’kij, Michail Bulgakov, Boris Leonidovič Pasternak, Vladimir Nabokov, ecc. ecc. ecc.

E questa è stata l’atmosfera che abbiamo respirato nell’elegantissimo salone dell’incontro, sotto una volta affrescata e nella sala illuminata – come un tempo – al lume di candela. Mi sembrava di essere seduta accanto ai più grandi e guardarli mentre intingevano la loro penna nel calamaio, per vergare pagine e pagine di fogli bianchi. La loro scrittura indelebile si è incisa nei nostri cuori permeando la nostra cultura e quella degli altri Paesi del mondo, influenzando la psicanalisi e le letterature più note.

Non potrò mai dimenticare quando mi sono recata a Mosca con la delegazione del Premio Penne-Mosca ideato dal Poeta Igino Creati (ormai scomparso nel 2013) e – anche con la sua consorte Tamara Kargapolova (poeta e artista) – abbiamo cenato presso lo storico edificio della TsDL Tsentralny Dom Literatov (Casa Centrale degli scrittori russi), respirando lo spirito e la gloria dei più grandi letterati del Paese! È un’istituzione a Mosca, oltre che un fantastico ristorante. Situato sulla Povarskaya, una popolare strada residenziale della nobiltà e dell’aristocrazia, l’edificio apparteneva, in origine, al conte Olsufyev, un generale al servizio dello zar e membro della Massoneria, e, nel 1932, passò nelle mani dell’Unione degli Scrittori Sovietici. Ne ha fatto parte anche la nostra Achmátova che deve aver frequentato la sala da pranzo principale, restaurata esattamente com’era nel 1910, con pannelli in legno elegantemente intagliati, lampadari di cristallo e caminetti, in linea con gusto della più alta nobiltà moscovita.    

Ma torniamo alla nostra ‘Poeta’, così preferiva farsi chiamare Anna Achmátova, perché le sembrava che il termine declinato solo al femminile potesse limitare il campo dei sensi e del sapere che la ispiravano.  

Figlia di Andrej Antonovič Gorenko, ingegnere navale, e di Inna Erazmovna Stogova, iniziò a cimentarsi con la poesia già a 11 anni. È noto che suo padre appena seppe delle sue poesie, le disse: «Non disonorare il mio nome!», e che lei non si fece scoraggiare rispondendo «Non so che farmene del tuo nome!». Per questo motivo scelse il patronimico tataro di una sua antenata che lo aveva acquisito sposando un discendente di Gengis Khan, chiamato appunto Khan Akhmat.

Era una ragazzina molto sveglia, imparò a leggere sui libri di Tolstoj, a 5 anni sapeva parlare anche in francese, ed era considerata una ‘selvaggia’ perché amava camminare scalza, senza indossare il cappello e buttarsi dalla barca in alto mare…

Io credo davvero che la sua esistenza si sia svolta in alto mare, in balia delle onde, lasciandosi trasportare dalle sue emozioni, a volte costretta dalla tempesta della vita a lasciare la terraferma per viaggiare trasferendosi su un’altra nave…

Dopo la sua infanzia a Pietroburgo, dove visse tra gli undici mesi e i sedici anni, a causa della separazione dei suoi genitori, dovette terminare il liceo a Evpatorija e fare l’università a Kiev dove studiò Giurisprudenza.

Era una donna bella, aveva un portamento elegante e snello, con il suo metro e ottanta di altezza, le sue lunghe gambe e le sue braccia sottili. La caratterizzava un volto illuminato da due occhi grigio-verdi, da uno sguardo acuto e colmo di sensibilità, femminilità, fascino, sebbene avesse un naso con la gobetta che riusciva a renderla comunque seduttiva e misteriosa.

E proprio questo suo bell’aspetto attrasse un giovane poeta che lei conobbe nel 1903, Nicolaj Gumilëv, che non la lasciò in pace – tentando addirittura il suicidio – con la sua corte incalzante e varie proposte di matrimonio. Forse lo sposò solo per sfinimento nel 1910 e nessun familiare partecipò alla cerimonia. Nella sua vita pietroburghese Anna frequentò i corsi di letteratura e si affiliò al gruppo ‘acmeista’, la Corporazione dei poeti, ideata e guidata da suo marito, che si riuniva al caffè cabaret, Cane Randagio.

Nel suo viaggio di nozze a Parigi, comunque, fece una conoscenza importante, quella di Modigliani, ancora sconosciuto, certo affascinato da quella splendida dama russa che parlava l’italiano e che conosceva l’opera dantesca. La impresse nella memoria disegnandola più volte, ma la maggior parte di quei ritratti che lui le donò, fu dispersa nei numerosi trasferimenti della poetessa, solo uno si salvò dalla distruzione del tempo e della storia e lei riuscì a conservarlo fino alla fine e si trova nel Museo nella Casa della Fontana a San Pietroburgo.

Mi piace raccontare l’incontro a Parigi così come lo ha dipinto Elena Sotnikova.

A Parigi, mentre Anna si era seduta nel tavolino di un piccolo caffè di Montparnasse in genere occupato da Modigliani: «…è apparso questo giovane uomo, ha guardato dispiaciuto la signora che occupava il suo posto, ma era così bella… ovviamente non si è arrabbiato, anzi ha deciso di conoscerla». Pare che il pittore le avesse scritto il suo indirizzo in un bigliettino e glielo avesse infilato in una scarpa. E come narra ancora la Sotnikova: «…Anche se stava in un viaggio di nozze, ha preso il biglietto ed è andata da questo artista».

Come lei stessa afferma «Nel 1910 lo vidi molto raramente, solo poche volte. Tuttavia, mi scrisse tutto l’inverno». Del pittore lo aveva colpita il “bagliore interiore”, a lei sembrava brillasse dall’interno.  

Insomma quando Gumilëv – assai presto – si stancò di lei e se ne partì per sei mesi in Africa, lei subì il suo primo abbandono, ma questo le consentì di andare a Parigi dal suo amico Modigliani, che la inondava di lettere chiamandola “la vedova di paglia”. Lo trovò diverso, dimagrito e impallidito, alcolizzato e drogato perché non tollerava la sua esistenza da mendicante. Sembrava che fosse invecchiato improvvisamente, anche se il loro cieco amore glielo faceva apparire ancora come l’uomo più bello del mondo, col suo sguardo misterioso e penetrante. Trascorsero due mesi indimenticabili, passeggiando per le boulevard di Paris, romanticamente sotto la pioggia, seduti su una panchina, coperti da un ombrello nero, a leggere poesie ad alta voce. Lo descriveva come un uomo forte e paziente: «Non si lamentava affatto della povertà del tutto evidente, né dell’altrettanto evidente mancato successo».

Anna tornò in Russia e non si rividero mai più, ma scrisse questa bella poesia:

Poesia dell’ultimo incontro

Il petto senza forza raggelava,
eppure leggeri erano i passi.
Ho infilato il guanto di sinistra
nel posto della destra.

Sembrava che i gradini fossero tanti,
ma io sapevo che erano soltanto tre!
Nell’autunnale sussurro degli aceri
mi ha chiesto: “Muori con me!

Mi ha ingannato infatti il triste,
incostante, crudele mio destino”.
Gli ho risposto: “Caro, caro!
Anche me ha ingannato. E morirò con te…”

Questo è il canto del nostro ultimo incontro.
Ho guardato la casa buia all’ultimo istante.
Solo nella camera ardevano candele,
di una luce gialla, indifferente.

(Anna Achmátova, 1911)

Il marito di Anna tornò dall’Africa e nel 1912 nacque il figlio Lev Nikolaevič, poi partì di nuovo, abbandonandola per la seconda volta. Un padre “poeta, estroso, viaggiatore, guerriero, antibolscevico”, una madre che lo lasciò ai nonni paterni delegando loro la sua crescita ed educazione.

Chi può giudicarla? Giovane, scossa dalle emozioni della poesia, piena di stimoli intellettuali, sola, abbandonata di nuovo, con un amore lontano che la faceva sentire importante, forse già consumato, possiamo biasimarla? Probabilmente convinta che l’ambiente casalingo dei nonni fosse più salutare per suo figlio piuttosto che il suo cosmo fatto di divagazioni poetiche…

Nel 1918 Anna divorzia da Gumilëv e sposa l’archeologo Vladimir Kazimirovich Shileiko, poeta e traduttore dalle lingue antiche, esperto di civiltà sumera. Ma anche questo matrimonio si chiude con un divorzio, nel 1922. Si sposa, infine per la terza volta, con lo storico e critico dell’arte, Nikolaj Nikolaevich Punin.

Che disdetta, però, quanti amori sfortunati, inoltre Nicolaj Gumilëv viene giustiziato nel 1921 con l’accusa di ordire un complotto antirivoluzionario insieme ad altri 56 detenuti, Vladimir muore prima dei quarant’anni di tubercolosi, Nikolaj Punin viene incarcerato più volte, insieme al figlio di Anna, Lev. Nel 1935, per intercessione del suo amico, il premio Nobel Boris Pasternak, riesce a farli liberare, ma nel 1938 finisce anche il terzo matrimonio. Punin viene di nuovo condannato a dieci anni di campo di correzione ad Abel, dove a 65 anni, debole e invecchiato, muore nel 1953.

Tre mariti, tre divorzi, tre volte vedova, un figlio arrestato la prima volta dall’NKVD nel 1935, a poco più di vent’anni, rilasciato grazie a Pasternak, incarcerato di nuovo nel 1938, mandato a combattere nell’Armata Rossa a Berlino, nel ’45; rispedito ai lavori forzati nel 1949, nonostante si sia salvato dalla guerra, resta nelle prigioni sovietiche fino al 1956, dopo la morte di Stalin.

Eppure, nonostante le ripetute prigionie, Lev Gumilëv, diventa un grande storico ed etnologo, studia i popoli delle steppe, soprattutto i Cazari e i Tatari, arrivando a incentrare il suo pensiero nel libro Etnogenesi e Biosfera (1978): le sue parole chiave sono l’ethnos che lega gli uomini, non il linguaggio, le istituzioni statali, le forze produttive; il passionarnost, la “passionarietà”, cioè l’indole di un gruppo, la sua ‘postura’ nel mondo, il suo desiderio di incidere nella Storia. Ethnos e “passionarietà” spiegano la nascita, la crescita, il culmine e la decadenza di una civiltà.

Anna fu una delle tante donne consumatesi nelle ore di strazio e di attesa fuori dalla prigione, Krestý, Le croci, il carcere di Leningrado, dov’erano rinchiusi i prigionieri politici: in attesa di sentenze, morte di freddo, in piedi con i pacchi che avrebbero voluto consegnare ai loro familiari, ore e giorni, sperando che il pacco e i 15 rubli di mantenimento del carcerato non tornasse indietro, perché questo avrebbe significato che il detenuto era stato fucilato.

Nella sua raccolta Requiem, Anna, confida la storia di quei mesi, dei terribili anni della «ežòvšĉina» periodo, regime di Ežòv», il capo della polizia):

…Diciassette mesi che grido,

ti chiamo a casa.

Mi gettavo ai piedi del boia,

figlio mio e mio terrore.

Tutto s’è confuso per sempre,

e non riesco a capire ora chi sia belva e chi uomo,

e se a lungo attenderò l’esecuzione.

Questa donna è malata,

questa donna è sola,

il marito nella tomba, il figlio in prigione.

Pregate per me.

(Anna Achmátova, 1938)

Dopo il 1921, gli scritti di Anna furono censurati fino al 1940, nel 1946 fu espulsa dall’Unione degli Scrittori Sovietici con l’accusa di ‘estetismo e di disimpegno politico’, riabilitata nel 1955, nel 1962 pubblicò il Poema senza eroe, un nostalgico ricordo del passato russo.

Infine ci fu un altro incontro amoroso, fugace ma importantissimo, che si consumò nel tempo di una notte, ma che permeò a lungo la poesia di Anna: quello con Isaiah Berlin, il segretario dell’ambasciata britannica a Mosca, il trentacinquenne professore di filosofia sociale e di teoria politica all’Università di Oxford, che si presentò alla sua porta casualmente, perché mentre si trovava in una libreria sulla prospettiva Nevskij, scoprì che la poetessa non abitava lontano da lì e che avrebbe potuta incontrarla.

La donna, dopo la separazione da Nikolai Punin, era tornata a vivere con lui, convivendo la abitazione sia con la prima moglie di lui e la figlia, che con l’attuale moglie Margherita e il figlio. Ad Anna era destinata una stanza spoglia – con un tavolino, un armadio, un divanetto e il letto – affacciata sul cortile, alla fine di un corridoio.

Lei lo ricevette poi lo invitò a tornare la sera: «La aspetto questa sera alle nove».

Eppure era un reato incontrare uno straniero senza un’autorizzazione formale, e non uno straniero qualsiasi, bensì un dipendente di un governo capitalista.

Infatti il sistema la punì sostenendo che il suoi scritti fossero permeati da motivi erotici, legati ai temi della tristezza, della malinconia, della morte, del misticismo, dell’abbandono, definendola «per metà suora, per metà sgualdrina» e sostenendo che la sua poesia fosse «del tutto estranea al popolo».

Lui tornò verso mezzanotte e verso le quattro del mattino rimasero soli. Parlarono di letteratura russa, delle loro passate relazioni, conoscendosi senza maschere. Fu l’amore di una notte, senza pretese, ma lei sublimò l’amore in poesia, anche se lo vide solo altre due volte, a distanza di anni.

In definitiva, la figura di Anna Achmátova diventa anche testimone di un periodo storico cruciale per la storia della Russia, tra due guerre mondiali, la Rivoluzione di ottobre e la guerra civile che ne scaturì. Come lei stessa afferma: «Davvero nessuno sa in che epoca stia vivendo. Così anche noi, all’inizio degli anni Dieci, non sapevamo di essere alla vigilia della Prima guerra mondiale e della Rivoluzione d’ottobre». 

Questa donna ha incarnato con i suoi scritti e le sue esperienze un personaggio che ha interessato anche la storia, tanto che il celebre storico e scrittore italiano Alessandro Barbero gli ha dedicato un interessante video Anna Achmatova raccontata da Alessandro Barbero [2020].

Ebbe molte sventure, affrontò parecchi drammi e tragedie, le istituzioni le resero la vita difficile, ma per lo meno non fu mai arrestata, anche se si dovette mantenere affannosamente facendo traduzioni.

Era una donna resiliente, a differenza di molti intellettuali, suoi amici, che scelsero la via dell’esilio o quella del suicidio, Anna decise di rimanere nella sua Russia con la piena consapevolezza delle conseguenze che avrebbe subito, sopportando la morte degli altri intellettuali: Esenin muore a 30 anni nel 1925, forse “suicidato” dalla polizia segreta, Majakovskij nel 1930 si spara un colpo al cuore, la sua amica Marina Cvetaeva, si suicida nel 1941, Bulgakov muore a meno di 50 anni, nel 1940, per una malattia dei reni, Pasternak, sempre perseguitato, si spegne per cancro ai polmoni, Brodsky, nel 1964, viene condannato in quanto poeta, per “parassitismo sociale”, una vera ecatombe di intellettuali.  

Lei sarà candidata al Nobel ma arriverà solo seconda dopo Michail Šolochov, mentre Brodsky nel 1987 riuscirà a prendere il Nobel.

Cinquant’anni dopo l’incontro con Modigliani, Anna scrive la monografia “Amedeo Modigliani”, perché questa figura occupa uno spazio importante nella sua poetica, nonostante lui sia ormai morto dal 24 gennaio del 1920.

Nel 1956 le fu assegnata una dacia a Komarovo, una colonia per scrittori nella campagna vicino a San Pietroburgo.

La sua riabilitazione letteraria giunse solo poco prima della sua morte avvenuta a Domodedovo, un sobborgo di Mosca, il 5 marzo del 1966, a causa di un attacco di cuore, all’età di 76 anni.

Si fecero un funerale a Mosca e uno a San Pietroburgo, dove fu sepolta nel quartiere di Komarovo.

Come afferma Elena Sotnikova:

«Era il mese di marzo ma c’era molta neve. A salutarla per l’ultima volta sono venute diverse migliaia di persone. Nel cortile giocavano dei bambini, uno ha chiesto all’altro: “Chi viene sepolto, visto che è venuta così tanta gente?”, il ragazzo ha risposto: “Non lo so, probabilmente un angelo”.

Anna Akhmatova, ovviamente, non era un angelo. Il suo ritratto, come il ritratto di qualsiasi altra persona, può essere dipinto in diversi colori».

Ultimo brindisi

Bevo a una casa distrutta,
alla mia vita sciagurata,
a solitudini vissute in due
e bevo anche a te:
all’inganno di labbra che tradirono,
al morto gelo dei tuoi occhi,
ad un mondo crudele e rozzo,
ad un Dio che non ci ha salvato.

(Anna Achmátova, 1934)

Il soprano Maria Smirnova

Era presente all’evento una delegazione di artisti italiani che accompagnavano la Paredes: gli scrittori e registi Fabrizio Catalano e Mikhael Germain Di Mattia, l’ex ballerino classico Alessandro Mathis Piumatti Sabotero, la Giornalista Rai Mariù Safier, lo Scrittore Victor Nunzi e la sottoscritta.

Foto di copertina: Anna Achmátova, 1915, Ritratto del pittore russo Natan Isaevič Al’tman