The brutalist: quando l’odio non ha fine

In anteprima a Venezia 81 l’ultimo e struggente film di Brady Corbet si posiziona già tra i favoriti per il Leone d’Oro.

Dateci Adrien Brody nei panni dell’architetto ebreo ungherese Làszlo Toth, superstite all’Olocausto ed emigrato in America nel 1947 in cerca del sogno americano. Se a questo aggiungiamo una dolorosa separazione con la moglie Erzsèbet ( Felicity Jones ) e una vita di lotta a soprusi ed umiliazioni il gioco è fatto.

Alessandro Nivola e Adrien Brody

Dopo un iniziale stato di povertà in cui non viene apprezzato il suo talento, Tòth viene preso sotto l’ala del magnate Van Buren ( Guy Pearce ) che gli commissiona un importante progetto architettonico, in richiamo alla scuola Bauhaus, su cui si basano gli studi e lavori pregressi dello stesso Tòth.

Alla regia Brady Corbet, già dietro la macchina da presa con i precedenti The childhood of a leader (2015) e Vox Lux (2018) . La sceneggiatura, curata insieme a Mona Fastvold, è sottile e delicatamente redige le righe di questo lungometraggio di 215 minuti ( più 15 di intervallo ) che non risulta ridondante per il pubblico.

Questo perchè The Brutalist riesce a costruire, proprio come un’ opera architettonica di Tòth, un film che tratta di puro disagio e stereotipo sociale del secondo dopoguerra e lo fa con una costruzione lenta, precisa e graduale. Arrivando a mostrare una brutalità sociale insita e sottile che come le fondamenta di un edificio risiede nascosta ed è base fondamentale per tutta la sua struttura.

Una sofferenza viva che non è solo il racconto della difficoltà di accettazione degli ebrei nel periodo post bellico ma che mostra in modo crudo ed aspro la brutalità egoistica del capitalismo. Làszlo Tòth vive e vede con i suoi occhi il frutto di questo meccanismo e ne fa i conti lui stesso, “questo paese è interamente marcio”, dirà tra le lacrime, in una sofferenza e sopportazione durata anni e che non sembra aver fine.

All’ architetto succede di tutto, soggetto spesso ai cambi di umore dello stesso Van Buren, alti e bassi di un ricco milionario inglese per cui Làszlo è solo l’ennesima pedina, un rapporto dettato dai suoi cambi d’umore del magnate, oscillanti tra stima e disprezzo per l’architetto . D’altronde, come cita più volte Erzsèbet: “per i ricchi è come rinnovare la cucina”.

Il disprezzo per gli ebrei è costante nel film tra atteggiamenti e battute da parte della stessa famiglia Van Buren, a tratti accogliente e in altri respingente nei confronti di Làszlo e la sua famiglia. Non a caso come il nome dell’opera monumentale di Làszlo: The presence of the past ; richiamo ad un passato ed odio che forse l’architetto sente ancora fin troppo presente nella sua vita.

La colonna sonora di Daniel Blumberg è onnipresente come la fotografia curata da Lol Crawley che con le sue inquadrature precise e geometriche sembra un costante richiamo alla Bauhaus. Spettacolari anche le scene girate nelle cave di Carrara mentre quelle dell’ epilogo finale sembrano forse stonare con l’intero lungometraggio.

Adrien Brody da di nuovo prova di talento ricordando la sua interpretazione con Il pianista ( 2002 ) e facendo sperare in una papabile coppa volpi per l’attore, bravissima anche Felicity Jones che con grinta porta sullo schermo un personaggio difficile da dimenticare.

Adrien Brody e Felicity Jones

The Brutalist è un film compiuto, che parla di cadute e ripartenze, di egoismo e sopraffazione umana insegnando che, come Làszlo, nonostante le difficoltà della vita è possibile continuare a costruire e credere in un futuro migliore.

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The brutalist. Regia di Brady Corbet. Sceneggiatura di Brady Corbet e Mona Fastvold. Con Adrien Brody, Felicity Jones, Guy Pearce, Alessandro Nivola. Fotografia di Lol Crawley; musica di Daniel Blumberg; montaggio di David Jancso. Produzione Bookstreet Pictures, Kaplan Morrison, Andrew Lauren Productions. Distribuzione Focus Features e Universal Pictures – Anteprima stampa 81a edizione Mostra del Cinema di Venezia

Foto ed immagine copertina: La biennale e web.