L’8 dicembre 2023, presso il teatro Camploy di Verona la prima assoluta del riadattamento della tragedia sofoclea.
Sabbia, ombrelloni, vestiti e salvagenti… un arenile desolato e dimenticato da tutti apre la scena di Antigone dei barconi. Al centro tre donne. una in piedi in un elegante abito rosso, le altre due sono distese in procinto della sabbia: una indossa un abito bianco, l’altra lo Hijab islamico.
“Quelli arrivano dal mare come in pirati! Solo che i pirati non arrivano morti”, urla con accento romano la donna vestita di rosso (Sabrina Modenini), è fatta ed ubriaca e sulla piaggia smaltisce gli ultimi residui del recente sballo; una corifea sfatta che già dai primi istanti si mostra portavoce di un sentimento di sfiducia nei confronti del genere umano.
Uscita di scena la corifea, la luce illumina delicatamente le altre due donne distese; appaiono esauste, gli abiti sono stracci, testimoni di una disgrazia appena avvenuta. Antigone dei barconi del regista Solimano Pontarollo fa già intuire che tratterà di una tragedia a noi comune e attuale rispetto all’Antigone di Sofocle del 442 a.C. A prendere il suo posto una tragedia drammaticamente reale, quella degli sbarchi e flussi migratori.
Nel dramma sofocleo originario Antigone si oppone alla legge degli uomini e dello zio e sovrano Creonte per seppellire il fratello Polinice, il cui corpo esanime è stato lasciato in pasto agli uccelli e privato di una degna sepoltura. Prima di compiere il gesto l’eroina chiede aiuto alla sorella Ismene, che nella paura e rispetto delle regole imposte si rifiuta; questo non ferma Antigone che prosegue risoluta nel suo intento e una volta scoperta accetta con dignità la condanna a morte impostale da Creonte. Quest’ultimo, messo in guardia sul suo agire dal profeta Tiresia e dal suo stesso popolo cede e scioglie la condanna della giovane, azione giunta troppo tardi, essendosi Antigone già suicidata.
Nell’Antigone dei barconi la sceneggiatura di Andrea de Manincor non riporta l’analogia con la tragedia classica: per prima cosa non vi sono nomi ma riferimenti, Antigone qui in realtà non è Antigone ma un’immigrata dal vestito bianco e straccio (Anna Benico) a cui quel nome le viene attribuito, essendo essa in lotta per la sepoltura di altri corpi, quelli dei suoi fratelli, non di sangue ma immigrati come lei.
La sepoltura rappresenta il vero punto di incontro con la tragedia originaria, diritto umano indiscutibile e naturale, portavoce inequivocabile di dignità umana. Antigone come la sua omonima eroina lotta per la sepoltura, quella dei suoi fratelli di sventura, compagni di un viaggio infernale a bordo di un instabile gommone; sistemazione troppo precaria che non riesce a reggere la potenza dell’onda che lo colpisce. Fratelli di sventura i cui corpi defunti sono resi in scena dai giubbotti salvagenti giacenti nella sabbia.
“Aiutami a seppellirli” dice disperata Antigone a Creonte (Andrea de Manincor), un vecchio pescatore siciliano ora scafista:“Non sono affari miei!” replica l’uomo in preda ai sensi di colpa, “Nemmeno la dignità della morte c’è rimasta” urla la donna.
Antigone piena di dolore e stremata parla del suo passato da giornalista in Libia, della sua copertura saltata e delle violenze subite una volta arrivata nei carceri libici, torture di giorno e stupri della notte; parla del figlio che porta in grembo, della vita che ormai non le appartiene più … intanto la sua voce si fa tremante. “Solo seppellendo i corpi si crea giustizia ” urla a Creonte, un uomo impaurito che bada solo alla mera sopravvivenza di sé. Antigone urla e lo fa con quel filo di forza che le resta in corpo e con la dignità di essere umano che non l’ha mai abbandonata.
La donna con lo Hijab (Annalisa Cracco), dalla voce più fragile e flebile, come il suo temperamento, viene qui paragonata ad Ismene, sorella di sventura di Antigone. Si fa portavoce anche lei della sua storia, tragedia di un viaggio dall’esito non molto diverso, la sua speranza è debole, proprio come la sua voce, una donna di venticinque anni dagli occhi già spenti . “Non mi devi rompere negra” le urla Creonte, in una rabbia consapevole della propria vigliaccheria.
I tre sono poi interrotti dall’arrivo dei “giganti”, la donna con l’abito rosso riappare in scena accompagnata da un uomo elegante dall’accento sempre romano, si tratta del politico predicante Tiresia(Enrico Ferrari) che all’opposto della saggezza del personaggio sofocleo contrappone meschinità ed egoismo. “Non li possiamo salvare tutti, fa parte della vita” afferma nella sua vile predica proseguendo “qui arrivano gli uccelli, animali stronzi gli uccelli (…) prendiamo questi cadaveri e li bruciamo” .
Creonte inizia a rendersi conto della propria inerzia e si ribella, contestato da Tiresia: “Piglia le taniche di benzina vecchio ipocrita che non sei altro, come se non avessi visto morire nessuno!” gli urla il predicante. Il ritmo si fa più incalzante come la musica e i movimenti degli attori, questi rendono possibile la ripetizione della stessa scena più volte, dando modo a ciascuno dei personaggi di raccontare la propria visione.
Infine l’atmosfera si fa più lenta, le luci più tenui, Tiresia spara un colpo di pistola in scena. Antigone cade a terra morta, così come i suoi valori, figlia di sventura tenuta tra le braccia da Creonte. La corifea in abito rosso si sveglia dalla sua sottomissione alla prepotenza e si fa coro improvviso di pietà e ribellione: “oddio come mi ero fatta su questa spiaggia per non sentire tutto il dolore che ce sta” esclama uscendo determinata dalla scena. Le luci di Francesco Bertolini, degne accompagnatrici della messa in scena, si fanno via via più da parte.
Come nella tragedia originaria anche qui Creonte comprende il proprio errore e si ribella ma ormai è tardi… e forse alla fine Creonte siamo proprio noi; oggigiorno abituati a sentire tragedie di sbarchi e naufraghi sulle nostre coste, tanto da farci tristemente l’abitudine. Al riadattamento il merito di aver portato in scena un tema oggi ridondante ma rendendolo “nuovo” in contrapposizione all’interessante analogia con il classico greco.
Dalla tragedia probabilmente l’Antigone dei barconi ha preso la sua forza più grande, quella di incitare chi guarda a non voltarsi dall’altra parte, l’autentico risveglio delle coscienze, la funzione più lodevole e potente del teatro.
Antigone dei barconi, riadattamento dall’Antigone di Sofocle. Regia e musiche di Solimano Pontarollo; Sceneggiatura di Andrea de Manincor; Con: Anna Benico, Annalisa Cracco, Sabrina Modenini, Andrea de Manincor, Enrico Ferrari . Luci Francesco Bertolini . Produzione Casa Shakespeare con il patrocinio del Comune di Verona, Provincia di Verona e Regione Veneto . Casa Shakespeare – Verona 8 dicembre 2023