Uno, nessuno e centomila. La crisi e la frammentazione dell’Io.

Al teatro Quirino, dal 9 al 15 gennaio, va in scena un classico della storia del teatro italiano: Uno,  Nessuno e Centomila. L’opera che sintetizza il pensiero pirandelliano e che l’autore, in una lettera autobiografica, definisce come il romanzo “più amaro di tutti, profondamente umoristico, di scomposizione della vita“.

L’antico teatro freme, il pubblico è un mix generazionale composto da chi Pirandello l’ha già visto e rivisto, e dalle scolaresche che gli si avvicinano per la prima volta. 

Le quinte si aprono e subito ci appare una mise en scène apparentemente spoglia. Un tribunale, due personaggi e una enorme parete bianca occupano lo spazio. Ma subito quella parete si rivela mobile e darà vita a infinite ambientazioni, così come infiniti sono i personaggi che vengono messi in scena. Le ambientazioni sono spesso oniriche, ricordi, paure e visioni trovano spazio sul palco alternandosi armoniosamente. 

Pippo Pattavina interpreta Vitangelo Moscarda, detto dalla moglie Gegè, che un giorno scopre di avere il naso un po’ storto. Lui non se n’era mai accorto ma la moglie, interpretata da Marianella Bargilli, gli rivela che non solo lui ha sempre avuto il naso storto, ma che tutti in paese lo chiamano con un soprannome proprio per questo. 

In lui nasce quindi la consapevolezza che noi non siamo soltanto chi pensiamo di essere ma anche chi tutti gli altri, la società, pensano che noi siamo e dunque, finiamo per non essere nessuno in quanto privi di una autentica identità proprio per il fatto di averne infinite. Così l’esistenza dell’uomo sbiadisce fino quasi a scomparire, non venendo egli valutato per quello che è o che pensa di essere. Ed ecco che le “centomila” immagini di noi che hanno gli altri, riescono a frammentare l’essenza umana fino a farci diventare  “nessuno”.

Le interpretazioni di Pattavina e Bargilli, affiancate a quelle di Rosario Minardi, Mario Opinato e Gianpaolo Romania, sono tutte di altissimo livello e rendono giustizia ai personaggi pirandelliani. Pattavina, in particolare, dona una complessa presenza scenica a Vitangelo, donandogli ambiguità e una forte vena provocatoria. 

Mentre Pattavina interpreta un unico personaggio complesso e frammentato, Bargili si cimenta nella sfida di interpretare tutti i personaggi femminili presenti in scena. In particolare la moglie Dida, intelligente, controllante, posata, e, specularmente, la cognata Maria Rosa, ingenua, scostante e ammiccante. Interpretazioni sempre azzeccate, che esaltano ed evidenziano inquietantemente come tutti questi personaggi esercitino il loro potere su Vitangelo.

Tutti diretti sapientemente dal regista Antonello Capodici che ricrea questo dramma esistenziale con le musiche originali composte da Mario Incudine.

Vitangelo entra in una profonda crisi, sconvolto dalla follia perché ossessionato dall’idea che gli altri possano non vedere la sua vera personalità e che nemmeno lui possa mai arrivare a conoscerla  veramente. Sempre e solo immagini della nostra percezione dell’altro, mai l’altro per com’è veramente. Turbato da tutto questo, rifiuta la propria identità annullandola completamente e giungendo a una soluzione definitiva: trascorrere il resto della vita in manicomio, dove può diventare il signor “nessuno”.

E come il protagonista di questo dramma  finirà con il rifiutare il proprio nome, così stretto e preciso, che lo intrappola e non gli permette di essere ciò che vuole quando vuole, chissà se anche noi e voi, dopo la visione di questo spettacolo rimetteremo in discussione la percezione di noi stessi e il nostro posto nella società.