Può il lutto trasformarsi in luce?
Una domanda difficile e profonda a cui dare una risposta sembra davvero impossibile. Eppure, Roberta Carreri, storica attrice dell’Odin Teatret, riesce a dare una soluzione a un quesito così complesso, portando per mano lo spettatore in un’esperienza intesa che attraversa il buio più profondo: la performance Fiori per Torgeir affronta la perdita del compagno di lavoro e di vita Torgeir Wethal in modo intimo e toccate ma non sentimentalmente banale. Proprio per lui nasce quest’opera: per onorarlo e per averlo ancora presente in scena. La Sala Rossa dell’Odin Teatret di Holstebro si trasforma, allora, in un vero e proprio santuario contemporaneo dedicato all’attore, fatto di luce, di ombre, di musica e di proiezioni ma soprattutto dove non possono mancare i fiori.
Questo lavoro, prodotto dal Nordisk Teaterlaboratorium, è stato creato da Roberta in collaborazione con giovani artisti: la compositrice Alice Carreri Pradeilhan per alcuni brani presenti e lo scenografo e artista visivo romano Stefano Di Buduo, attivo in Germania, che ha creato un ambiente scenografico digitale ed interattivo con cui l’attrice può interagire durante l’esibizione. Sebbene si possa pensare che si tratti di un solo, ci si trova nei fatti ad assistere ad un duo in continuo dialogo dove rimane intensa, dall’inizio alla fine, la presenza scenica fisica di Roberta e quella virtuale di Torgeir.
L’incipit porta subito al cuore della questione e immerge completamente lo spettatore con la sua forza:
Si dice che i morti non possano morire. Ma non è vero, la maggior parte delle persone muore due volte. La prima quando cessano di respirare. La seconda quando il suo nome viene pronunciato per l’ultima volta. Torgeir, non voglio che tu sia dimenticato. Voglio che tu sia ricordato, per sempre.
In quest’opera densa e stratificata, i piani si confondono e i confini tra fisico e digitale sbiadiscono in una narrazione che colpisce senza sconti tra la dolcezza e la violenza. Le emozioni intense e profonde del lutto e della perdita si incrociano con la meraviglia che accompagna l’arte del fare Teatro: le immagini legate a Torgeir, recuperate dai vasti archivi dell’Odin, vengono animate così che sembrino muoversi autonomamente e si alternano a video di alcune grandi performance dell’attore norvegese mentre Roberta agisce con la proiezione, interagendo con il supporto scenico come se si trattasse di un corpo fisico.
I fiori, sempre coloratissimi, vengono portati in scena in quattro momenti distinti e, ogni volta, hanno una funzione diversa: i girasoli, le rose, la lavanda, le ortensie vengono sparsi, sistemati con cura, adagiati, sistemati a formare un cuscino funebre e infine gettati e sparpagliati ancora come a voler negare la morte, almeno nel ricordo. Il pubblico attraversa il dolore di Roberta e le fasi che lo definiscono e, al contempo, percorre il suo legame artistico con il compagno e la storia stessa dell’Odin. Ma sono proprio le parole di Torgeir a risplendere sullo schermo e negli occhi: le frasi personali che annotava sui suoi diari privati mostrano il suo lato di intendere il Teatro, la relazione con i compagni e le riflessioni sulla vita quotidiana.
Spesso mi siedo semplicemente a fissare il vuoto. Ma in quei momenti succedono molte cose. Senza queste cose non potrei fare la mia professione
L’impatto di questa messinscena è particolarmente forte ed intenso sullo spettatore che in alcuni momenti può risultare davvero troppo coinvolgente: assistere ad una rappresentazione così sincera può far sprofondare in una partecipazione emotiva che, a tratti, risulta quasi in vergogna, come se le esperienze proprie personali più profonde venissero esposte contro la propria volontà. Ma, proseguendo, si genera un senso di familiarità: anche noi abbiamo provato lo stesso dolore; anche a noi sembra di aver sempre conosciuto l’attore norvegese che, con le sue parole, ci sembra un nostro amico di sempre. E alla fine si realizza che, nonostante tutto, siamo proprio qui per celebrare un rito laico che riconcilia tutte le nostre paure, insicurezze con le certezze e i desideri. Ci viene chiesto:
Hai visto tuo padre morire? O, ti ricordi quanto improvvisamente ti innamorasti?
Nel finale, compare un’immagine di Torgeir sorridente mentre Roberta la fa dissolvere con un tocco in quello che sembra un sorriso dolce amaro. La certezza del lutto è incontestabile ma i ricordi rimangono sempre con noi, non se ne andranno, anche se a volte sbiadiscono. Questo ci può sostenere e spingere verso il futuro perché qualcuno è entrato nella nostra vita e non se ne andrà più. Un’ultima riflessione proiettata colpisce nel segno:
Abbiamo chiamato questo modo di essere insieme un villaggio: il villaggio dell’Odin. Oggi lo vedo più come un piccolissimo regno. Un regno che un giorno scomparirà, come in tutte le fiabe.
Quando le luci si alzano, Roberta torna in scena e si siede con gli spettatori; parla con loro e l’enorme quantità di emozione raccolta sino a quel momento inizia lentamente a dissiparsi, in un vero e proprio momento catartico di cui si sente il bisogno quasi disperato. Usciti nella sera di Holstebro, si trema ancora di emozione.