Ci piace pensare di vivere nella luce del sole, ma il mondo per metà è sempre nelle tenebre; e la fantasia, come la poesia, parla il linguaggio della notte (Ursula K. Le Guin)
In fase conclusiva di questa edizione del Romaeuropa Festival, non poteva mancare la dirompente traccia drammaturgica e coreografica di Enzo Cosimi, il cui confronto – questa volta – è con il colosso eschileo l’Orestea. Un’indagine, la sua, che ancora una volta si rivela una vera e propria ricerca nei meandri più oscuri dell’umanità nel tentativo di causare un corto circuito tra ordinario e straordinario. Rimasto fedele alla struttura trilogica originaria, Enzo Cosimi da corpo e voce a quella che si rivela una tragedia della vendetta sotto il segno tangibile della violenza; ancor meglio se di quella carnale sadomasochista. Non importa chi sia l’inflitto o chi infligga violenza: in quel preciso istante l’ordinario flusso di coscienza si interrompe a favore di una regolamentazione e normalizzazione di canoni extra-ordinari.
Pur preservando nei corpi un’estetica classicheggiante – a tratti scultorea – sperimenta un linguaggio coreutico serrato, sostenuto da un chiarificabile ed autobiografico elemento testuale e che accompagnerà nel lungo processo evolutivo – involutivo, per taluni aspetti – di un’altisonante Diche. Una violenza vendicativa, quella che ha il suo prologo in Agamennone – Glitter in my tears, che risponde ad una giustizia “oscura” celatasi sotto il segno di un volere provvidenziale; nonché simbolica di uno status quo primitivo. Una vendetta che non cesserà di esistere fino al suo ultimo compimento con l’avvento di una nuova giustizia sotto il segno di una democrazia: l’era del processo. E quale miglior processo se non quello mediatico?
Se in un primo momento l’istallazione performativa de Le Eumenidi, abbia destabilizzato; è proprio nel suo enuclearsi che ci ha “sbattuti in faccia” la realtà dei fatti: nell’era della demistificazione; della falsificazione; della ricerca del consenso è accaduta la più paurosa e oscura involuzione. È proprio in quest’era, fatta di processi mediatici e fantomatica democrazia, che l’uomo è immobilizzato in una lecita ordinarietà, timoroso di sprofondare nell’oscurità.
Un invito, questo, ad imparare a camminare nel buio più oscuro.