Vite di Ginius al Campania Teatro Festival: la recensione

Un viaggio sensoriale attraverso le vite passate.

 Vite di Ginius il nuovo spettacolo della compagnia Libero Teatro, scritto, diretto e interpretato da Max Mazzotta ha debuttato al Campania Teatro Festival il 2 luglio nel Giardino Paesaggistico di Porta Miano a Capodimonte. Vite di Ginius è uno spettacolo che affronta attraverso diversi linguaggi un vero e proprio viaggio di purificazione dell’anima, con richiami all’Inferno dantesco. 

Max Mazzotta è fondatore e direttore artistico di Libero Teatro, da vent’anni attivo in Calabria con progetti nati in sinergia con l’Università della Calabria, per cui cura laboratori teatrali in collaborazione con il dipartimento di studi umanistici dell’ateneo, è allievo di Giorgio Strehler, con il quale ha lavorato all’interno delle sue ultime produzioni, ma anche volto noto per aver interpretato il ruolo di Enrico Fiabeschi nel cult cinematografico Paz! (2002). Vite di Ginius è il primo monologo scritto, diretto e interpretato da Mazzotta.

Lo spettacolo ci immerge subito in un viaggio di suoni e colori diversi tutto senza mai spostarci dalla suggestiva location del giardino paesaggistico di Porta Miano.
Al centro della scena troviamo una console dalla quale Mazzotta, regista e al contempo attore orchestra i suoni e le scene dello spettacolo davanti a noi, senza mai uscire dalla postazione.
Sullo sfondo uno schermo proietta immagini che contestualizzano di volta in volta i luoghi e gli ambienti.

La storia inizia da una morte e da un’anima che si distacca dal corpo per compiere l’estremo viaggio nell’aldilà. L’incontro con Caronte, richiamando la Divina Commedia, dà inizio al viaggio ma quest’anima non è destinata a rimanere a lungo nell’aldiltà, per completare il suo percorso deve compiere un viaggio di attraversamento delle sue vite precedenti.

Partiamo così dagli albori della civiltà per arrivare a un futuro in cui l’evoluzione dell’uomo e il suo rapporto con la tecnologia sono ad uno stadio assai avanzato rispetto a oggi.

Il filo conduttore non è soltanto l’anima di Giunius che vaga tra una vita e l’altra ma anche il suo incontro, ogni volta, con una sorta di doppio o forse, si potrebbe considerare un’anima gemella con cui in ciascuna vita, esperisce in un modo più o meno diretto la morte.

Il tema del doppio, in effetti, sembra essere una delle costanti di questo racconto, le singole vite che si dipanano davanti a noi non sono quindi slegate tra loro ma unite dall’eterna dicotomia di eros e thanatos, amore e morte che uniscono in un filo rosso il legame tra queste due anime. Due parti separate che potrebbero anche essere una sola, in due vesti diverse a rappresentare il bene e il male.

Molti sono i piani di lettura, dunque, ma lo spettacolo scorre veloce e dinamico, ora portando alla risata, ora al pianto e tutto questo grazie al merito di Max Mazzotta che non perde mai un colpo, lui è uno ma è molti, con una grande espressività sia vocale che mimica non ha bisogno di nient’altro che di se stesso per raccontare una storia che tiene alta l’attenzione e il coinvolgimento del pubblico.

Un’esperienza dunque, quella di Vite di Ginius da vivere ancora, anche in altre location, qualcosa che forse potrebbe essere fruita anche fuori dal classico spazio teatrale.