“Sorvegliare e punire”: tra arte e realtà, una riflessione

Nel 1975 Michel Foucault pubblicava Sorvegliare e punire. Un anno dopo Einaudi lo portava in Italia. A 45 anni dalla pubblicazione italiana ricordiamo un testo difficile e profondo attraverso dei collegamenti tra arte e realtà.

Il rovesciamento: anima e corpo

La ronda dei carcerati è l’immagine che appare sulla copertina italiana di Einaudi della magnifica opera di Michel Foucault. Il dipinto è di Vincent Van Gogh che durante i suoi giorni di isolamento nel manicomio di Saint-Remy dipinge un gruppo di uomini che girano in tondo, consapevoli di non poter spezzare quel cerchio infinito. Un uomo volge lo sguardo verso l’osservatore. Si rende conto di come la sua umanità sia stata vituperata da quel sistema punitivo che sta soggiogando lui e tutti i suoi compagni. Forse è l’appello di un individuo che non vuole perdere la propria anima, ma forse è proprio l’anima che lo ha condotto lì. «L’anima, effetto e strumento di una anatomia politica; l’anima, prigione del corpo», così scrive Foucault, rovesciando il pensiero per cui, da sempre, si sosteneva che fosse proprio il corpo la prigione dell’anima. Se prima infatti le punizioni andavano a ledere il corpo del suppliziato, adesso il punto focale di ogni ricerca diventa la mente. La psiche diventa oggetto di studio. L’anima diventa lo strumento politico che assoggetta il corpo. Il rovesciamento è compiuto.

Il dipinto di Van Gogh viene ripreso dal maestro del cinema Stanley Kubrick, nel suo Arancia Meccanica, uscito solamente pochi anni prima della pubblicazione del lavoro di Foucault. Dopo la sperimentale cura Ludovico, imposta su di lui dal governo, Alex diventa completamente avulso alla violenza, non riuscendo più rispondere a nessuna provocazione e sentendosi male al solo pensiero. Il gioco del potere ha regalato alla società un uomo nuovo. Anche qua, il corpo diventa prigioniero dell’anima, una volta tolta di mezzo, il corpo è libero. E Alex può uscire dal carcere. Ma ora è un corpo svilito, creato dall’alto. In effetti, non sembra proprio che sia uscito dalla prigione, quanto che sia rimasto bloccato in un’altra ancora più efferata.

Dal marchio al segno, dal segno alla traccia

Foucault ripercorre la storia della punizione. Nel secolo XIII l’intero sistema punitivo era basato sull’assunto per cui l’illegalità commessa fosse stata fatta ai danni del re. Turbando le regole sociali non si attaccava soltanto la vittima, ma lo stesso sovrano, che aveva quindi il dovere di scaricare la propria ira sul colpevole, attraverso il supplizio, lasciando il suo marchio sul corpo. Con la rivoluzione, i riformatori illuministi riformulano il pensiero giuridico. Se la pena non può essere più spettacolarizzata, deve però essere riconosciuta da tutti. Per questa ragione è importante mettere in scena, per un pubblico che deve essere educato, il trasferimento dei prigionieri e i lavori forzati perché “nel progetto dei giuristi riformatori, la punizione è una procedura per riqualificare gli individui come soggetti di diritto; essa utilizza non dei marchi, ma dei segni, degli insiemi codificati di rappresentazioni”.

Ma la vera rivoluzione, secondo Foucault, avviene attraverso il sistema della disciplina. Questa viene permeata all’interno di tutte le strutture portanti della società, dall’esercito alla fabbrica, dall’ospedalizzazione al collegio. Quella che si viene a formare è una logica di assoggettamento del potere che però riesce a essere conforme ai dettami della collettività. Dalla disciplina si forma il pensiero per cui non ha più valore punire il reo per vendetta, perché ciò, tolta la sua spettacolarizzazione, non porta nulla di nuovo alla comunità. Il sistema capitalistico introduce una forma di castigo che possa finalmente punire e, contemporaneamente, migliorare la comunità. La nuova forma è la prigione.

In Francia, con il Codice penale del 1810, assistiamo all’evoluzione della prigione come sistema quasi monopolistico della pena, che si diffonde per sostituire i lavori forzati. Dall’esibizione e la rappresentazione dei corpi, si passa con la prigione all’addestramento (inteso come soggezione al potere), e al segno si sostituisce la traccia. “Il punto di applicazione della pena non è la rappresentazione, ma il corpo, il tempo, i gesti e le attività di tutti i giorni” scrive Foucault. Nella prigione “la punizione è una tecnica di coercizione degli individui; essa pone in opera dei processi di addestramento del corpo – non dei segni – con le tracce che questo lascia, sotto forma di abitudini, nel comportamento”. Con la prigione il passaggio dal potere monarchico, sempre visibile, a quello delle discipline, nascosto, è evidente. Nella prigione la soggezione dei corpi diviene massima. Il controllo avviene di nascosto. L’idea è quella del Panopticon di Jeremy Bentham, la struttura per cui attraverso una particolare architettura tutti i reclusi sono, ipoteticamente, perennemente osservati. Il guardiano, posto al centro, può controllare tutti quanti senza essere visto. L’idea rivoluzionaria è che i detenuti non possono sapere in quale momento siano osservati o meno. Con la costante paura di commettere qualche errore, la tesi è che quasi certamente righeranno dritto. In questo modo i carcerati avrebbero cercato di rispettare sempre la disciplina, modificando nel tempo i loro comportamenti, la loro mente e il loro carattere.

La de-umanizzazione

L’opera di Foucault è impressionante da leggere se si guarda alla capacità dell’autore di spiegare a come si sia arrivati al sistema della prigione, ma come questo sia stato poi inconsapevolmente applicato dai governi totalitari del Novecento. La de-umanizzazione della prigione è la de-umanizzazione che ha portato alle guerresche vicissitudini del secolo scorso. Il controllo stretto del Panopticon è la sorveglianza del governo autoritario, è la paura di essere costantemente sotto esame. Nonostante non sia forse questo il tema centrale, è interessante guardare alle similitudini che intercorrono tra la trasformazione del sistema punitivo a cavallo tra i secoli XVIII e XIX e all’evoluzione politica e sociale tra Ottocento e Novecento.

Il libro vuole riflettere sul pensiero che ha portato al sistema della prigione come principale forma di punizione. Oggi detiene il primato tra i sistemi punitivi, ma è ancora così essenziale?  Se l’originario obiettivo di correggere e riformare non funziona, non conviene prendere in ipotesi l’attuazione di una riforma? Questi sono solo alcuni dei quesiti che il grande lavoro di Foucault pone alle élite filosofiche e intellettuali, alla società e al popolo. Forse sì, ma oggi al 2021 siamo ancora bel lontani dal trovare una soluzione nuova.