Si chiude la Berlinale all’insegna di Rocco

Supersex, la serie Netflix sul divo del porno con Alessandro Borghi

Ultimi fuochi dal Festival di Berlino che chiude oggi i battenti della 74° edizione alla riscoperta dell’industria del porno.

L’ho conosciuto e intervistato per i tg della Rai nel 1992 a Cannes, dove in concomitanza all’importante vetrina cinematografica scoprimmo che ,con un pizzico di provocazione sulla spiaggia di un grande hotel a Mondelieu -la-Napoule, a pochi chilometri dal paludato Palais du Festival, si svolgeva il red carpet fra lustrini e paillette (poche per la verità) delle star dell’industria miliardaria del cinema porno con l’attribuzione dell’Hot d’Or ovvero l’Oscar europeo del cinema porno per la gioia di fotoreporter, cineoperatori e giornalisti.

In abiti osé le dive e i divi provenienti da tutta Europa di quell’industria che fatturava più di quella “normale”, tra di loro c’era anche Rocco Siffredi, laureato in economia, felicemente sposato dal 1993 con Rosa Caracciolo, un’ex pornodiva ungherese naturalizzata italiana, due figli, “orgogliosamente un uomo oggetto per la donna”,  come lui stesso ha dichiarato con un pizzico di vanità e un patrimonio cresciuto a dismisura. A presentarmelo in quell’occasione fu un produttore cinematografico che negli anni sessanta era uno specialista di movie a basso costo, diventato ben presto ricco con tanto di Rolls Royce grazie proprio al porno.

Più di 1400 film all’attivo, maschio alfa, Siffredi protagonista alla Berlinale, grazie a Supersex una fiction dedicata alla sua vita, scritto da Francesca Manieri e diretto da Matteo RovereFrancesca Mazzoleni Francesco Carrozzini. Una serie prodotta da Netflix in arrivo sugli schermi televisivi dal 6 marzo che sullo schermo ha il volto di Alessandro Borghi, mentre Gaia Messerklinger interpreta la pornodiva Moana Pozzi.

Sul red carpet della Berlinale con gli attori del film, i registi presente anche lo stesso Rocco Siffredi, oggi 59enne, signore di mezza età in gran forma, accompagnato dalla moglie Rosa.

«Gli anni settanta e ottanta» ha detto Siffredi, hanno rappresentato l’età d’oro del cinema hard, in Italia e in Europa. Re Mida del box office all’epoca insieme a me Moana Pozzi e Ilona Staller in arte Cicciolina che diventò in seguito parlamentare, poi l’avvento di internet ha cambiato tutto in peggio con la mercificazione del web.»

Le sette puntate di Supersex ripercorrono l’infanzia di Rocco, la povertà fra le mura della casa di famiglia ad Ortona, la scoperta del sesso a Parigi, il rapporto con il fratellastro Tommaso interpretato da Adriano Giannini e sua moglie che sullo schermo ha il volto di Jasmine Trinca, le persone più importanti della sua vita. Il nudo non mi ha mai turbato, ha detto Siffredi, «e per quanto riguarda il sesso, meglio libero dalle ipocrisie.» E pensare come scrive l’ottimo critico Alberto Crespi, che a scoprire in Italia negli anni ‘70 quell’industria, fu un esercente di Milano, Luigi de Pedys, che gestiva sale importanti come il Manzoni, l’Orfeo e l’Apollo, che visto l’iniziale calo di spettatori, ebbe l’idea di mettere all’ingresso di uno dei suoi cinema, il Majestic, destinato inizialmente alla programmazione per bambini, un lampeggiante rosso. Fu quello il primo cinema a luci rosse in Italia e il primo film ad essere programmato fu I pornogiochi delle femmine svedesi. Un successo travolgente che sdoganò di fatto l’apertura di altre sale in tutta Italia che arrivarono nell’arco di un anno a ben 125 e che divennero il regno incontrastato di Rocco Siffredi e Moana Pozzi. Poi la crisi, complice la rete e la televisione che iniziarono a drenare spettatori e uccisero le sale, oggi fortunatamente in recupero di pubblico, ma che sopravvisse all’epoca grazie anche al porno, contribuendo non poco anche a salvare tanti posti di lavoro inclusa a pagare la benzina per la Roll Royce del mio amico produttore di Bmovie.

Per la cronaca il 74° festival di Berlino ha premiato con l’Orso d’oro il film documentario Dahomey della regista franco senegalese Mati Diop, un finto documentario sul passato coloniale della Franci. Il cinema italiano a mani vuote con i due titoli in concorso, Another End di Pietro Messina e Gloria di Margherita Vicario, mentre Emily Watson torna a casa con un Orso d’argento per la miglior interpretazione non protagonista nel film d’apertura del festival, Small Things Like These diretto da Tim Mielants.

Intanto a Los Angeles dopo la buona accoglienza della critica a pochi giorni dagli Oscar Matteo Garrone con Io capitano, colleziona il premio dei critici afroamericani.

Foto di copertina: Alessandro Borghi, Rocco Siffredi e Saul Nanni

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