L’inventore di storie di Charles Lewinsky. Un racconto lungo una vita – La recensione

Edito da SEM, L’inventore di storie, l’ultimo libro di Charles Lewinsky è ambientato nella Svizzera del XIV secolo e si presenta come un inno all’amore per il racconto.

Sebi, protagonista di L’inventore di storie, è un adolescente in questo romanzo che si può definire come un’epopea in cui Charles Lewinsky ha voluto impostare il racconto secondo una struttura che va in effetti a celebrare l’amore per la narrazione nel senso più puro e profondo del termine.
Innanzitutto da un punto di vista strutturale si nota subito che romanzo presenta una sorta di cornice narrativa in cui vediamo il protagonista, Sebi, nel suo villaggio, il suo rapporto con la famiglia e l’incontro con un uomo dal passato oscuro, il Mezzabarba, un vagabondo con cui Sebi fa presto amicizia. La cornice è il pretesto narrativo per introdurci nei brevi racconti (non più di cinque pagine per capitolo) che una volta il protagonista, una volta gli altri personaggi raccontano al lettore. Si attratta di avventure che riguardano direttamente o, a volte indirettamente, i personaggi.
La prima immagine che salta agli occhi se dovessi rappresentare questo romanzo con una fotografia o un disegno è costituita da alcune figure umane intorno a un fuoco che si raccontare delle storie per intrattenersi. 

Questa immagine è senz’altro l’essenza della natura umana primigenia, il bisogno viscerale di raccontare per poter spiegare le cose del mondo, imprimerle nella memoria, tramandarle e metterle in ordine.

Sebi non è adeguato al rude mondo in cui è nato: dotato di saggezza e invenzione, è più un abile narratore che un combattente. Il villaggio in cui vive non soddisfa le sue esigenze, per questo sogna di studiare in un monastero. Un giorno compare uno sconosciuto che costruisce un rifugio ai margini del villaggio. Ha metà faccia devastata da misteriose ustioni e la gente lo chiama Mezzabarba. Sebi ne diventa fedele discepolo e grazie ai suoi racconti apre gli occhi sulla vita. Ma la loro amicizia è destinata a interrompersi. Quando la madre di Sebi muore, il giovane viene mandato al monastero, mentre Mezzabarba fa perdere le sue tracce. Inizia così una nuova incredibile fase della storia, con Sebi alla ricerca del suo mentore. Bugie, morti, battaglie… Il ragazzo diventa adulto e la saga torna al punto di partenza quando Sebi prende il posto di narratore, memore di quando era lui ad ascoltare i racconti di Mezzabarba.

Lewinsky descrive la durezza della vita rurale del XIV secolo; la storia di Sebi ci parla dal passato, ma più in generale rappresenta la complessità della natura umana e del mondo vista dagli occhi di un ragazzo innocente. Un ragazzo che sente viva dentro di sé la necessità di raccontare, comprendere, imparare e che vede nella parola la sua principale arma per affrontare un mondo nel quale si sente inadeguato. Crede che il monastero sia il suo posto ma la freddezza e i picchi di cattiveria che scopre in un luogo che credeva puro dimostrano quanto sia più grande la sua bontà. Forse il suo posto è proprio nella parola, nel racconto e nella vicinanza alle persone che si rivelano essere per lui un punto di riferimento. 

Per quanto riguarda il sistema dei personaggi, fin dal primo momento L’inventore di storie mi ha ricordato, anche nello stile, Cent’anni di solitudine di Gabriel García Márquez in cui il personaggio di Mezzabarba, misterioso, che entra in amicizia con la famiglia di Sebi ricorda molto Melquiades, il saggio alchimista che effettivamente conosce tutta la storia della famiglia. Allo stesso modo Mezzabarba sembra avere un ruolo marginale nel racconto ma poco alla volta scopriamo che non è così.

La brevità di ciascun capitolo e di ogni racconto, ciascuno con un titolo specifico che rimanda al “fatterello” rende fruibile il romanzo e la lettura avventurosa come un viaggio.
Ci affezioniamo subito a Sebi e siamo immediatamente affascinati e incuriositi dal Mezzabarba, per questo il prodotto finale è un racconto lungo una vita dove alla fine tutti i nodi vengono al pettine.

Teatro Roma
Francesca Romana Moretti

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